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“Ius sanguinis”, missione fallita

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ROMA.  A febbraio 2013 la legge sul diritto di cittadinanza compirà 21 anni. Una normativa, basata sullo ius sanguinis (si è italiani se si nasce da genitori italiani), che sembrava destinata ad andare in pensione nel corso del 2012, complice un clima politico cambiato ma anche un rinnovato interesse della società civile. Ma nonostante le campagne di pressione di diverse associazioni, e il parere favorevole di alcuni esponenti del governo la legge è rimasta invariata. Lo stesso ministro della Cooperazione internazionale e dell’integrazione, Andrea Riccardi ha espresso il suo rammarico per questa “occasione persa”. “Non dipende dal Governo ma dal Parlamento” se la modifica della legge sulla cittadinanza non si farà, “ora la palla passa alla prossima legislatura” ha detto. Ripercorriamo le tappe più significative della questione cittadinanza nel 2012.
GOVERNO FAVOREVOLE. A far pensare a un imminente cambio di rotta sulla questione erano state le dichiarazioni di diversi rappresentanti dell’esecutivo. Dal sottosegretario al Welfare Maria Cecilia Guerra al ministro Riccardi, che si era spinto fino a ipotizzare un modello di acquisizione non basato più sullo ius sanguinis ma su uno ius soli moderato, o meglio uno ius culturae: la concessione della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri che abbiano alle spalle una famiglia da 4-5 anni regolarmente soggiornante nel nostro paese e che abbiano concluso un ciclo scolastico. Lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti in un’intervista a Famiglia Cristiana aveva sottolineato che il tema era da lui “molto sentito”. Ma che si trattava di una questione che rischiava di scompaginare la maggioranza, preannunciando di fatto l’impossibilità di un cambiamento della normativa. Fino alla fine, però, dopo più di tre anni, la Camera ha cercato una mediazione possibile. Un primo tentativo, tra mille difficoltà, c’era statoinfatti nel settembre 2009, ma si era concluso nel gennaio 2010 con un rinvio dall’aula alla commissione a causa della netta contrarietà di Pdl e Lega all’introduzione dello ius soli nell’ordinamento italiano. Questa volta si è cercata la trattativa soprattutto sulla questione dei minori, mentre si è scelto di tralasciare la parte che riguarda la cittadinanza breve per gli adulti (questione su cui l’aula si arenò due anni fa). Alle due relatrici Sesa Amici (Pd) e Isabella Bertolini (Pdl) a fine luglio, era stato dato mandato di arrivare a un testo unificato tra le nove proposte attualmente depositate: una di Aldo Di Biagio (Fli); una dell’Udc a firma Pierluigi Mantini; due del Pdl a firma Sbai e Cazzola; tre del Pd (a firma Bressa, Turco e Vassallo); una dell’Idv a firma David Favia; una di iniziativa popolare della Regione Marche fatta propria dal partito di Di Pietro. Ma il compito della sintesi, avevano ammesso entrambe le relatrici, era arduo visto che “le posizioni sono ancora distanti”. Il Pd (appoggiato da Idv, Udc e Fli), è per uno ius soli temperato mentre Pdl, così come la Lega, è da sempre nettamente contrario. E di fatto la proposta si è arenata in un vicolo cieco. La stessa Bertolini ha dichiarato in aula che allo stato attuale, non vi sono i presupposti per giungere alla definizione di un testo unificato condiviso.
I DATI. Secondo il rapporto dell’Anci “Da residenti a cittadini” sono circa un milione (993.238) i minori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia, con un incremento dal 2000 a oggi pari al 332%. Se la quota della popolazione straniera sul totale dei residenti (italiani e stranieri) è attualmente del 7,5%, i minorenni rappresentano il 21,7% della popolazione straniera (4.570.317) e il 9,7% del totale dei minori (italiani e stranieri). Un pezzo consistente di popolazione considerata straniera, a cui la maggioranza degli italiani è favorevole a concedere il diritto di cittadinanza. Lo dice il rapporto Istat. Il 72% degli intervistati per la rilevazione “I migranti visti dagli italiani” è favorevole all’acquisizione per i figli di stranieri nati nel Paese. La quasi totalità delle risposte sottolinea che sia giusto dare la cittadinanza agli immigrati che ne fanno richiesta dopo un certo numero di anni di residenza regolare in Italia. Sono sufficienti 5 anni per il 38% dei rispondenti, 10 per il 42%, 15 anni per il 10% degli intervistati. Un residuale 8 % ritiene che non debba essere mai concessa la cittadinanza.
di Sofia Curcio

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