Dibattiti con varie realtà del settore. Pranzo interetnico. Concerti ed esibizioni musicali. Gare di varie discipline sportive. Mostre fotografiche A Napoli, la giornata mondiale del rifugiato che si celebra ogni anno il 20 giugno, è un agglomerato di eventi diversi e contestuali tra loro, che prenderanno tutta la giornata sino a sera, che vanno a intersecarsi dirigendosi verso l’unico insieme che conta: la inclusività. Luoghi di celebrazione delle varie iniziative, promosso dal Comune di Napoli con varie realtà territoriali, cooperative, associazioni, enti, il Real Albergo dei Poveri – con il dibattito sul numero dei rifugiati, confronti con esponenti delle varie realtà che si occupano della tutela dei rifugiati e dei più fragili – e la Palestra Kodocan dove oltre 120 ragazzi di diversa provenienza, Africa, Nord Africa, Asia, Est Europa, italiani impegnati in progetti di inclusione, hanno dato vita a una bellissima giornata di sport con partite di calcio, gare di lotta e non solo. A parteciparvi, tra gli altri anche la nazionale di calcio femminile.
I NUMERI – Per raccontare la giornata mondiale del rifugiato, non si può prescindere da alcuni numeri rappresentativi della dimensione del fenomeno. Nel mondo, nell’anno 2022, i rifugiati costretti a lasciare i loro Paesi di origine a causa di guerre e persecuzioni hanno raggiunto la quota di 108 milioni, oltre 20 milioni in più rispetto al 2021. Andrea De Bonis, protection associate presso Unhcr Ufficio Italia, parla esplicitamente di «numeri impressionanti, che devono spingere gli Stati ma anche i Comuni e la società nel suo complesso a trovare soluzioni possibili sia nella risoluzione di conflitti internazionali, che fanno aumentare il numero dei rifugiati, sia nella loro stessa accoglienza». Oggi, aggiunge De Bonis, «piangiamo l’ennesima tragedia come quella al largo della Grecia, con centinaia di morti. Come Unhcr sosteniamo che benché esista una riflessione su come gestire le modalità di accoglienza, la solidarietà tra Stati per il salvataggio delle persone in mare non deve mai venire meno». Ma quali le soluzioni? Il protection associate di Unchr Italia risponde così: «Si possono percorrere diverse strade. Anzitutto un sistema coordinato di ricerca e soccorso deve essere la strada maestra, come accaduto in passato grazie anche all’impegno della società civile, cosa che ha portato un miglioramento del salvataggio in mare». Secondo, «rafforzando i percorsi legali di ingresso per i rifugiati. L’Italia è all’avanguardia sul percorso di reinserimento e sui corridoi sia umanitari che educativi. Adesso – ricorda De Bonis – si sta riflettendo anche sui corridoi lavorativi. L’ingresso legale non deve però mai far venir meno il percorso di salvataggio in mare».
IL COMUNE – Questa mattina, il dibattito mattutino al Real Albergo dei Poveri alla presenza di vari attori istituzionali e del mondo del terzo settore e dell’associazionismo. L’assessore del Comune di Napoli Luca Trapanese sottolinea come Palazzo San Giacomo stia «migliorando i servizi dedicati agli adulti e ai minori, occupandosi dei minori non accompagnati, eleggendo il presidente della consulta immigrati (Fatou Diako ndr.) e collaborando con il Terzo Settore». Per Trapanese, «l’immigrazione, se trattata in maniera giusta con formazione, inserimento lavorativo creando le condizioni di avere una casa, può rappresentare una risorsa anche per gli stessi cittadini. A Napoli, peraltro, c’è il primo centro one stop shop dell’Unchr in un bene confiscato di via Marina, che sarà un centro di smistamento e accoglienza in via Marina oltre che un luogo di riferimento per tutte le associazioni che si occupano di immigrazione».
COOPERAZIOONE E ACCOGLIENZA – Diversi i rappresentanti dei centri di accoglienza del territorio napoletano, che supportano le persone desiderose di integrarsi, protagonisti della giornata mondiale del rifugiato. Valeria Ricca, presidente di Eventi Sociali e coordinamento dei vari Sai gestiti in partenariato con Arci Mediterraneo, che accoglie circa 400 persone nelle proprie strutture di Napoli e provincia orientandole nell’acquisizione di documenti e nell’inserimento in ambito lavorativo, ribadisce ancora una volta che la giornata «deve emergere il concetto di inclusività e dell’agire sull’accoglienza in favore dei migranti che arrivano». Per la Ricca «è necessario con le Questure e la Prefetture per snellire il meccanismo di autorizzazione a un immigrato ad avere un passaporto o un permesso di soggiorno. La burocrazia a cui sono sottoposti Consolati e Ambasciate spesso bloccano le pratiche. Oggi per sbrigarle sono necessari dai 6 mesi in su». Una delle ospiti di Arci Mediterraneo è Hope Samuel, 28enne richiedente asilo nata in Nigeria. «Piano piano mi sto inserendo qui, ma ora sto accudendo soprattutto mio figlio. Vorrei lavorare nel settore delle pulizie o della ristorazione, quando il percorso sarà finito» dice Hope. Nehal Shuja, 25enne afgano, mediatore/operatore della cooperativa MediHospes dà la sua lettura sul tema dell’accoglienza. «Anzitutto – afferma – non vorrei che tutte le esigenze dei rifugiati si racchiudessero soltanto nella giornata mondiale del 20 giugno a loro dedicata. Al contrario, i servizi devono essere garantiti loro 365 giorni l’anno. Ognuno di noi è responsabile dell’accoglienza di queste persone, tutti devono fare la loro parte. Ma è il governo che dovrebbe porre maggiore attenzione ad esempio piazza Garibaldi a Napoli continua a essere frequentata da tanti senza tetto. L’umanità va oltre la legge». MediHospes orienta dal punto di vista legale e non solo persone provenienti dall’Africa subshariana, dall’Africa del Nord, dal Bangladesh, dall’Afghanistan che Nehal ha lasciato diversi anni fa partendo da Kabul dove è nato, con un breve e momentaneo ritorno. Anche per lui la quotidianità è dura, nonostante si dedichi agli altri. Il Paese è da un paio di anni di nuovo in mano ai Talebani e tutto il percorso di miglioramento della società del Paese asiatico, già fragile, s’è bruscamente interrotto. Di quanto accade lì, oggi, quasi non si parla più: «Sono arrivato dall’Afghanistan in Italia dal luglio del 2015 tramite una borsa di studio – rievoca il passato il 25enne mediatore – ho fatto un percorso accademico come ufficiale accademico a Modena. Ero anche un medico militare, poi dopo un problema personale ho dovuto ricominciare daccapo perdendo tutto quanto costruito. Ho subìto tanto e non sapevo né dove dormire né dove lavorare e nemmeno integrarmi. Sono andato avanti da solo. Se penso all’Afghanistan, penso a un Paese estremamente corrotto dove i cittadini vendono i loro oggetti della casa per mangiare; oggetti però che nessuno compra perché nessuno ha soldi. In Afghanistan o sei straricco o strapovero».
di Antonio Sabbatino