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Servizi residenziali: è il tempo della responsabilità, non della chiusura

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Le persone con disabilità (minori, adulti e anziani) che vivono nei servizi residenziali sono la fascia di popolazione che ha più sofferto a causa delle restrizioni adottate per contrastare la pandemia da Covid-19 e la diffusione del virus. Speravamo che la fase delle limitazioni alle visite dei familiari e delle restrizioni alle uscite fosse ormai superata. Invece ci giungono notizie di nuove chiusure da parte di servizi residenziali che hanno sospeso visite e uscite programmate (anche in occasione delle festività natalizie) a causa della ripresa dei contagi dovuta alla diffusione della variante Omicron.

LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità lancia un appello affinché si evitino chiusure generalizzate e assolute delle strutture residenziali. Chiediamo che vengano messe in atto adeguate misure di prevenzione che tengano conto delle necessità e del diritto delle persone a mantenere relazioni affettive con i propri familiari, oltre alla possibilità di partecipare alla vita sociale alle stesse condizioni garantite al resto della popolazione.

L’invito di LEDHA è quello di applicare quanto previsto dalla recente circolare del 29 dicembre della DG Welfare di Regione Lombardia al fine di preservare sia le uscite programmate degli “ospiti”, sia le visite dei familiari. Un’attenzione che deve certamente riguardare in primo luogo i servizi residenziali dove vivono persone con disabilità (minori, giovani o adulti) ma senza trascurare le esigenze relazionali e affettive delle persone anziane con disabilità.

La recrudescenza della pandemia non deve portare ad assumere decisioni drastiche e sostanzialmente difensive da parte dei responsabili delle strutture residenziali. Al contrario auspichiamo un’applicazione responsabile e prudente delle misure finalizzate a prevenire il contagio. Bisogna garantire da un lato, la tutela della salute di tutti e, dall’altro, la possibilità per le persone con disabilita che vivono nei servizi residenziali di continuare a mantenere relazioni significative con i propri familiari e opportunità di vita sociale come una passeggiata o un pomeriggio in famiglia. Non mancano esempi di gestori che hanno messo in pratica modalità di gestione che permettono di bilanciare queste due esigenze. Un percorso che deve quindi riguardare la totalità delle strutture.

Sono trascorsi quasi due anni dallo scoppio della pandemia da Covid-19. In questi due anni le persone con disabilità (in particolare quelle anziane) hanno dovuto subire prima l’impatto -in alcuni casi tragico e devastante- della malattia e, successivamente, un lunghissimo periodo di confinamento all’interno delle strutture, con il divieto di uscire unito all’impossibilità (o a forti limitazioni) a ricevere visite. Un prolungato periodo di segregazione che ha causato gravi danni alla salute psichica e al benessere di persone già fragili, e una riduzione sostanziale della loro qualità della vita.

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