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Nel bene confiscato alla mafia trovano rifugio persone omosessuali e transgender vittime di violenza omotransfobica

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«Rafforziamo la nostra visione d’intervento, stiamo realizzando un potenziamento del doppio dei posti letto per persone LGBT+ vittime di violenza, oltre ad offrire e potenziare i servizi già esistenti in collaborazione con i nostri partner di progetto CORA Napoli EF in quella che ad oggi è la prima casa rifugio LGBT + della città di Napoli e del Mezzogiorno oltre che il primo centro culturale polifunzionale giovanile LGBT+ ubicato in un appartamento riutilizzato socialmente e sottratto alla camorra».
Ha commentato così Carlo Cremona presidente di i Ken APS ETS che, grazie all’aggiudicazione dell’avviso pubblico per la selezione di progetti per la costituzione di Centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere indetto dall’UNAR Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri- ha potenziato l’offerta di posti letto, che ad oggi sono 4, e di servizi nella città di Napoli con il progetto “Questa casa non è un Albergo “.
Una casa rifugio per persone omosessuali e transgender vittime di violenza e/o maltrattamento che si svolge nel bene confiscato intitolato a “Silvia Ruotolo ed a tutte le vittime innocenti della alla mafia” in via Antonio Genovesi 36, assegnato dal 2007 all’associazione i Ken dal Comune di Napoli tramite un bando pubblico. «Accogliamo – ha spiegato Cremona – prima di ogni altra cosa persone italiane e straniere che si trovano in vario modo in difficoltà e trovano qui protezione ed assistenza, ma vengono soprattutto coinvolti, per il tempo che serve a far raggiungere loro un minimo di autonomia, in un progetto individualizzato di inclusione sociale, in cui ci sono diritti ma anche doveri. In questo senso, senza aver chiuso mai un giorno, ci sono delle regole di convivenza da rispettare e anche se non tutti se lo vogliono sentir dire è così: Questa casa non è un albergo».
  Servizi e finalità del progetto – Il progetto, che ha partecipato al terzo Forum Regionale Beni Confiscati alla Stazione Marittima di Napoli l’11 e il 12 ottobre, offre inoltre un supporto completo, attraverso consulenze legali (per con specifica competenza sia in materia civile e penale italiana che sul diritto internazionale), psicologiche, endocrinologiche, e servizi di mediazione sociale, orientamento al lavoro, attività laboratoriali, servizio civile universale e sostegno all’autonomia abitativa. Il progetto “Questa casa non è un Albergo” lavora in rete con la rete welfare ed emergenze sociali del comune di Napoli, le Pari opportunità, e ovviamente, con i Beni Confiscati. Tra le finalità del progetto c’è quella di riutilizzare un bene confiscato dedicandosi ad azioni di mutuo soccorso e volontariato, e allo stesso preservare la casa come luogo di crescita individuale e di benessere sociale, limitando il senso di solitudine e abbandono nelle persone LGBT+.
Storie di successoIn questi anni tutte le persone destinatari di provvedimenti di protezione internazionale che hanno fatto un percorso in carico al progetto “Questa casa non è un Albergo – Rainbow Center Napoli” hanno avuto la possibilità di regolarizzare i propri documenti e quindi di poter avviare un percorso di autonomia lavorativo e abitativa, realizzando di fatto quella che noi definiamo inclusione sociale. Tra le storie di successo c’è ad esempio quella di una persona 30enne nordafricana che dopo 2 anni presso la casa accoglienza LGBT+ di Napoli ha ottenuto il permesso di soggiorno quinquennale europeo. Come per lui, i Ken APS ETS e Cora EF, si impegnano ogni giorno ad assistere persone di ogni nazionalità vittime di violenza omotransobica. Degni di menzione anche due casi di persone transgender entrambe adolescenti e vittime di violenza domestica e discriminazioni nel mondo della scuola e del lavoro a causa della variazione di genere.
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