Parlare di diritto di cittadinanza significa affrontare un tema complesso, spesso divisivo. Il referendum dell’8 giugno ne è una prova: se sui quesiti legati al diritto del lavoro l’orientamento è stato netto, sulla riforma dell’accesso alla cittadinanza italiana il dibattito ha profondamente diviso l’opinione pubblica.
Questo nonostante le migrazioni facciano parte della nostra realtà da decenni, e migliaia di volontari e associazioni siano quotidianamente impegnati nell’accoglienza, nell’integrazione e nella mediazione culturale. Le incertezze spesso nascono dalla difficoltà di comprendere fenomeni complessi, che suscitano timori e appaiono lontani.
Eppure, una comunicazione più chiara, documentata e priva di semplificazioni potrebbe aiutare a sviluppare consapevolezza e senso critico. Promuovere un’informazione libera e accessibile è essenziale per consentire alle persone di formarsi un’opinione consapevole, al riparo da narrazioni distorte o polarizzanti.
Attualmente, la legge italiana sulla cittadinanza si basa sul principio dello ius sanguinis, secondo cui è cittadino italiano chi nasce da genitori italiani. La normativa consente anche alle persone straniere di ottenere la cittadinanza, purché risiedano legalmente e ininterrottamente in Italia da almeno 10 anni e soddisfino specifici requisiti: conoscenza della lingua italiana almeno di livello B1, reddito adeguato, assenza di condanne penali e di motivi ostativi legati alla sicurezza dello Stato.
Da tempo si discute della necessità di riformare questi criteri, ritenuti troppo rigidi, in risposta a una sensibilità crescente nel Paese, soprattutto tra volontari e associazioni impegnati ogni giorno nell’accoglienza e nell’integrazione delle persone straniere.
Le idee di riforma che stanno avendo maggiore diffusione sono ispirate a due principi: lo ius soli e lo ius scholae.
In applicazione dello ius soli, acquisirebbero la cittadinanza italiana tutte le persone nate in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Si tratta di un principio giuridico avanzato, in grado di dare piena attuazione al principio di uguaglianza tra le persone. Due bambini nati in Italia avrebbero così gli stessi diritti, a prescindere dalla nazionalità dei genitori. Questo principio contribuirebbe in modo significativo a superare le disuguaglianze che molti minori stranieri subiscono nell’accesso alla scuola, al sistema sanitario e al diritto alla mobilità. È adottato in Paesi con una consolidata tradizione migratoria, come Francia, Stati Uniti e Portogallo.
Lo ius scholae, invece, prevederebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei minori nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, legalmente residenti e che abbiano frequentato regolarmente almeno cinque anni di percorso scolastico nel nostro Paese. Si tratta di un principio che collega l’accesso alla cittadinanza a un minimo livello di integrazione sociale, riconoscendo l’impegno del minore e della famiglia in un progetto educativo e di partecipazione alla vita della comunità.
Entrambe le soluzioni rappresenterebbero un’evoluzione significativa del nostro sistema giuridico, favorendo percorsi di integrazione più efficaci. È fondamentale, tuttavia, avviare un confronto sano sul tema dell’immigrazione, dell’accoglienza e della cittadinanza, libero da paure e condizionamenti politici, che spesso presentano le migrazioni come un problema, oscurandone gli aspetti umani, la loro inevitabilità e il ruolo cruciale nello sviluppo sociale ed economico.
Questo è ancora più vero in un contesto come quello italiano, segnato da invecchiamento della popolazione e crescenti disuguaglianze territoriali. Il calo demografico e l’aumento degli anziani pongono sfide rilevanti per il welfare e la coesione sociale. In tale scenario, le persone migranti costituiscono una risorsa preziosa per l’equilibrio complessivo del Paese. In molti Paesi europei, il rafforzamento del volontariato e delle politiche di cittadinanza è parte integrante delle strategie di sviluppo locale e innovazione sociale.
Le associazioni possono svolgere un ruolo chiave di mediazione tra istituzioni e cittadini, favorendo una comprensione più consapevole del fenomeno migratorio e contribuendo alla costruzione di politiche di integrazione moderne, radicate nei territori. È altrettanto urgente un dialogo strutturato con il legislatore, affinché le norme siano frutto di visioni condivise e lungimiranti, e non risposta a emergenze o conflitti ideologici.
di Maurizio D'Ago - Avvocato giuslavorista, dottore in Scienze Storiche