Lavorano di dolcezza, sfornando ogni giorno le paste più buone della pasticceria tradizionale campana, da sua maestà il babà alla sfogliatella dal cuore tenero, passando per la classica zeppola di San Giuseppe. Pasticceria di alta qualità che assume un significato ancora più importante, se a realizzare ogni giorno queste delizie non sono pasticcieri qualunque, ma i detenuti del carcere di Carinola (CE), grazie al progetto “FaRinati”, messo in campo dall’associazione Generazione Libera, vincitrice di un bando della Casa di reclusione. Nel nome dell’iniziativa c’è tutto il senso di questo progetto pilota partito circa due anni fa nell’istituto penitenziario del comune casertano: «Come suggerisce la parola FaRinati, i nostri pasticcieri sono “rinati”, perché dopo aver percorso un pezzo di vita in cui sono caduti, e aver giustamente pagato, oggi si rialzano e vivono una rinascita», spiega Rosario Laudato, presidente dell’associazione Generazione Libera. C’è poi un altro significato che ha strettamente a che fare con il grano: «L’uomo si è sempre nutrito del grano, quindi di pane. Dalla semina alla mietitura trascorrono nove mesi, lo stesso tempo che serve a una donna per mettere al mondo un bambino». A Carinola, carcere che conta circa 500 detenuti, sono in 4 a lavorare, con regolare contratto part-time, nel laboratorio ospitato nella casa di sicurezza, che produce non solo dolci, ma anche rustici, nel rispetto della tradizione ma anche delle richieste, per fortuna numerose, che arrivano anche da fuori. Un elemento, quello della qualità e dell’apertura del mercato esterno, assolutamente importante in questa esperienza che combina rieducazione e inclusione sociale. «Non è facile vendere prodotti realizzati in carcere, se poi non si fa un buon prodotto, la partita è persa in partenza: noi proponiamo il nostro prodotto, deve piacere prima quello, poi dentro c’è tutto il significato che porta con sé. Nel primo anno abbiamo venduto circa duemila panettoni a Natale; anche le nostre colombe artigianali sono state molto richieste».

Chiunque può contattare FaRinati ai suoi contatti telefonici e Social per fare un ordine. Anche se l’orgoglio più grande è quello di aver portato un po’ di dolcezza all’interno di un luogo, per sua natura, triste, allietando anche eventi che coinvolgono la popolazione carceraria, come i matrimoni. «Non solo i detenuti fanno il loro ordine settimanale ma, in caso di matrimoni o compleanni, laddove prima era impossibile ordinare qualcosa dall’esterno, a causa dei numerosi controlli che la direzione del carcere ha l’obbligo di fare, oggi diventa possibile e anche semplice ordinare una torta e vivere un momento speciale all’interno delle mura carcerarie», sottolinea Laudato. Che aggiunge: «Abbiamo apprezzato molto la sensibilità dell’amministrazione penitenziaria, che ci ha aperto le porte, mettendo dei locali a disposizione per il laboratorio di produzione e la pasticceria, e che si è anche resa disponibile ad ampliare il raggio del progetto, dando così una opportunità di formazione lavoro ad un numero maggiore di detenuti». Forse proprio per il successo dell’iniziativa, che sta andando avanti con le sue gambe: «Noi facciamo la nostra parte come terzo settore, non siamo in carcere per fare business. L’obiettivo è quello di mettere al centro l’uomo. I prodotti sono importanti perché il progetto possa sostenersi, ma devono crederci prima loro».

I giovani pasticcieri di FaRinati hanno tra i 30 e i 40 anni, alcuni sono alle prime armi, altri più esperti, tutti grati di avere avuto una seconda chance. Sostenere i soggetti più fragili promuovendo occasioni di inserimento sociale e lavorativo è la mission principale di Generazione Libera, associazione da sempre impegnata sul territorio casertano nella difesa dei diritti dell’uomo. Dal teatro alla pasticceria, passando per la ciclofficina, sono diversi i progetti che hanno come protagonisti immigrati, disabili, persone in difficoltà. Tra poco, a Piana di Monte Verna, piccolo comune casertano vicino al più noto Caiazzo, nascerà anche una casa di accoglienza destinata a detenuti senza dimora. «Siamo molto fieri – racconta il presidente – perché della ristrutturazione dell’appartamento individuato per ospitare la struttura, si stanno occupando proprio i detenuti che, nel frattempo, si sono formati e hanno imparato il mestiere chi di muratore, chi di idraulico, chi di artigiano, quindi tutte quelle figure che oggi paradossalmente mancano e sono le più ricercate nella nostra società». Dunque, una nuova vita per gli individui, ma anche per la comunità.

 

di Maria Nocerino

 

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