Per una donna con disabilità vittima di violenza chiedere aiuto è un percorso complesso e spesso ostacolato da pregiudizi, barriere fisiche e comunicative. Ancora più difficile è trovare un luogo sicuro e privo di ostacoli in cui poter ricostruire la propria vita. Con il progetto “Artemisia” (Attraverso reti territoriali per l’emersione di situazioni di violenza), un importante passo in avanti è stato compiuto in questa direzione: una casa rifugio gestita dalla Fondazione Somaschi, infatti, è stata adattata per accogliere anche donne con disabilità fisica, sensoriale o cognitiva.
Il progetto, promosso da Fondazione Somaschi Onlus, Fondazione ASPHI Onlus, LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità, CEAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà e Fondazione Centro per la Famiglia Card. Carlo Maria Martini, ha come obiettivo quello di far emergere la violenza ai danni delle donne e delle ragazze con disabilità, favorendone così la presa in carico da parte dei Centri antiviolenza (Cav) e, se necessario, al loro inserimento in case rifugio. I risultati del progetto sono stati presentati questa mattina a Palazzo Marino durante il convegno “Nessuna esclusa”.
“Intervenire su un tema complesso come l’emersione della violenza ai danni delle donne con disabilità ha richiesto un lavoro complesso e su diversi fronti: dalla formazione delle operatrici al superamento delle barriere ambientali ancora presenti all’interno delle reti antiviolenza -sottolinea Chiara Sainaghi di Fondazione Somaschi, ente capofila del progetto-. L’esperienza di ‘Artemisia’ ha dimostrato che è possibile rendere le nostre strutture accessibili, non solo da un punto di vista fisico ma anche per quanto riguarda l’informazione e la comunicazione. Il nostro auspicio è che altre realtà, in Lombardia ma non solo, intraprendano lo stesso percorso per un’interconnessione sempre più stretta tra diverse le competenze e i servizi a supporto di tutte le donne. Nessuna esclusa”.
La formazione per fare emergere la violenza
La violenza ai danni delle ragazze e delle donne con disabilità è un fenomeno sommerso e difficile da far emergere: in alcuni casi perché le vittime stesse non sono consapevoli di essere tali, oppure perché dipendono – fisicamente e per l’assistenza – proprio dalla persona che abusa di loro. Oppure, ancora perché non vengono credute quando chiedono aiuto. Per questo, la prima cosa da fare è formare le operatrici dei Cav e quanti lavorano con le persone con disabilità su come riconoscere i campanelli d’allarme.
L’attività di formazione messa in campo dal progetto “Artemisia” ha permesso di raggiungere un primo importante risultato: tra il 2023 e il 2024 c’è stato un aumento significativo (+43%) delle donne con disabilità che si sono rivolte ai Cav di Milano e dell’hinterland gestiti dalle associazioni coinvolte nel progetto. Il numero delle donne con disabilità prese in carico è passato dalle 41 del 2023 (su un totale di 691, pari al 5,9% del totale) alle 59 del 2024 (su un totale di 782, pari al 7,5% del totale). A queste ne vanno aggiunte altre 17, seguite dal consultorio familiare della Fondazione Centro per la famiglia Card. Carlo Maria Martini.
Una casa rifugio per tutte le donne
Nelle scorse settimane si sono conclusi gli interventi per rendere accessibile alle donne con disabilità una casa rifugio gestita dalla Fondazione Somaschi. Sono state innanzitutto rimosse le barriere architettoniche che rendevano complicato accedervi e muoversi al suo interno: in cucina, ad esempio, sono stati installati un set di fornelli e un lavandino sospesi, che possono essere utilizzati anche da chi si trova in sedia a rotelle. Mentre il piano di lavoro si alza e si abbassa grazie a un sistema di domotica a comando vocale, che ne permette un uso agevole da parte di tutte le abitanti della casa.
L’installazione di montascale, bagni e docce accessibili è un altro accorgimento dedicato a chi ha una disabilità motoria. A terra sono stati posizionati dei loges per guidare le donne cieche che si orientano con il bastone, mentre per le donne con disabilità uditiva che comunicano attraverso la lingua italiana dei segni (LIS) è previsto l’intervento di un’interprete formata. Le operatrici, inoltre, sono state formate all’uso della Comunicazione alternativa aumentativa (Caa) per poter interagire in maniera semplice e chiara con chi ha una disabilità di tipo cognitivo.
“Linee d’indirizzo” per replicare questa esperienza
Il lavoro svolto nei tre anni progetto per migliorare l’accessibilità di Cav e Case rifugio è confluito all’interno delle “Linee di indirizzo” che “Artemisia” mette a disposizione di tutte le realtà impegnate in questo ambito. Il documento contiene informazioni utili per rendere accessibili e fruibili alle donne e alle ragazze con disabilità vittime di violenze gli spazi fisici e per garantire l’accesso alle informazioni; realizzando, ad esempio, testi in formato easy to read o costruendo siti internet fruibili a chi ha una disabilità sensoriale.
Nell’esperienza di “Artemisia”, ad esempio, sono state sviluppate delle tabelle di comunicazione semplificata analogica (attraverso disegni e immagini) che sono poi state inserite in tabelle di comunicazione digitali presenti su tablet che le operatrici hanno iniziato a utilizzare. Infine, all’interno delle Linee guida è stato inserito un questionario di autovalutazione che può essere utilizzato dalle operatrici del singolo Cav per verificare l’accessibilità della struttura registrando la presenza o meno di barriere architettoniche, di segnaletica interna e di bagni accessibili. Uno strumento utile da cui partire per valutare quali interventi mettere in atto.
Il contributo di Regione Lombardia
Durante il convegno Alessia Belgiovine, referente dei Centri antiviolenza, delle Case rifugio e delle Case di accoglienza di Regione Lombardia, ha ribadito l’impegno di Regione in questo ambito. In particolare, ha ricordato la misura “Vicini a ogni donna” che prevede la destinazione di 3,68 milioni di euro per finanziare interventi di potenziamento dei servizi o di ristrutturazione per individuare Centri antiviolenza e Case rifugio specializzati nella presa in carico di donne con disabilità in situazioni di violenza.