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I pettirossi tra trappole e maltrattamenti

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BRESCIA. Un mondo di sofferenza e di lunghe agonie per pettirossi, tordi, cince, codirossi, passere scopaiole, beccacce, allodole, fringuelli, scriccioli e altri piccoli passeriformi protetti, albe passate al gelo nei boschi delle vallate alpine dagli agenti del Noa, il nucleo anti-bracconaggio della Guardia Forestale, e dai volontari che ogni autunno li aiutano a combattere l’attività illegale degli uccellatori. E, poi, invii speciali di uccelli feriti in qualificati centri di riabilitazione, come il centro Il Pettirosso di Modena, sequestri di strumenti abusivi di caccia, denunce per furto ai danni dello Stato, per detenzione di specie protette, per porti d’arma abusivi, per maltrattamento e persino per ricettazione. Ecco il pesante quadro si nasconde dietro a un piatto di “polenta e osei”, la polenta con gli uccellini allo spiedo, piatto tradizionalmente molto amato nelle vallate bergamasche ma soprattutto bresciane. Proprio in queste ultime, secondo dati forniti dalla LAC, la Lega per l’Abolizione della Caccia, si concentra la più intensiva attività di bracconaggio ai piccoli uccelli dell’Europa intera.

IL LAVORO – «La caccia ai passeriformi protetti è un problema molto grave che ogni anno miete un numero di vittime altissimo – commenta Piero Milani, fondatore e presidente del Centro Fauna Selvatica il Pettirosso -. Tra gli uccellini insettivori a essere uccisi, l’80 percento sono pettirossi che nei mesi autunnali migrano verso Sud alla ricerca di climi tiepidi passando per le valli alpine. Il problema è da sempre particolarmente grave nelle valli del Bresciano come la Val Trompia, la Val Sabbia e la Val Camonica dove ogni anno, dalla fine di settembre a novembre, si ripete una vera e propria strage. Per questioni legate alla tradizione gastronomica della “polenta e osei”, il numero di bracconieri di passeriformi, specie faunistiche protette, per legge patrimonio dello Stato, è altissimo.».

IL NOA – Istituito nel 2005, il Noa «è il fiore all’occhiello del Corpo Forestale» dice Claudio Marrucci, attualmente Commissario Capo del Nucleo stesso che è composto da altre tre persone: due ispettori e un assistente ma che, quando è in azione, come in autunno nel Bresciano o nelle altre attività programmate che svolge nel corso dell’anno come, per esempio, l’Operazione Adorno che svolge in primavera nella provincia di Reggio Calabria contro la caccia di frodo al falco pecchiaiolo, può chiamare in suo aiuto altri Agenti Forestali tra gli 8500 presenti in Italia

TRAPPOLE CRUDELI -«I passeriformi diventano facile preda dei bracconieri nella loro migrazione verso Sud – spiega ancora Milani -. In primo luogo, ci sono le reti, di solito alte due metri e larghe dieci, stese tra gli alberi del bosco, dove gli uccellini rimangono intrappolati e poi uccisi da chi le ha stese che, in genere, gli schiaccia la testa tra le dita. Ma ci sono “armi” ancora più terribili per catturare queste minuscole creature indifese. Frequentissime le trappole ad archetto che vengono poste su posatoi appoggiati ai rami degli alberi. Basta una bacca di sorbo per attirare gli uccellini che, in autunno, sono affamati per la penuria di insetti».

I REATI – I reati contestabili a chi caccia i passeriformi nel loro volo autunnale verso il caldo sono essenzialmente di due tipi: per i cacciatori muniti di regolare licenza si applica la legge 157 del 1992, là dove dice che è reato cacciare specie protette, cacciare con armi improprie come i richiami vivi e con reti (uccellagione); per chi non è munito di licenza di caccia, ci si rifà alla legge generale, e quindi al codice penale, che all’articolo 624 disciplina il furto e al 625 il furto aggravato, come in questo caso perché in danno alle specie protette che sono patrimonio indisponibile dello Stato. In tutti e due i casi si può parlare di bracconaggio.

di Giorgia Rozza (corriere.it)

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