Fernanda aveva diciassette anni quando un’auto che non si era fermata al semaforo rosso la travolse. Era in scooter e stava andando a scuola. Il suo banco è rimasto vuoto per sempre, come il suo lettino, il suo posto a tavola, a casa. Una tragedia che sconvolse Napoli, ma non abbastanza; il pomeriggio dello stesso giorno in cui Fernanda aveva perso la vita, altre macchine continuarono a passare col rosso a quel semaforo. Come se niente fosse successo. La madre di Fernanda, Sonia Fusco, insieme ad altri genitori i cui figli hanno perso la vita a causa di incidenti stradali, hanno tratto forza dal dolore e con l’Associazione familiari e vittime della strada ogni giorno raggiungono scuole, istituti e piazze per trasmettere il loro messaggio che va oltre la semplice eppur mai scontata educazione stradale. «Utilizzando dei power point trasmettiamo le nozioni di base che mirano a educare alla percezione del rischio, all’importanza di prestare attenzione, alle conseguenze che un attimo di distrazione può avere sulla vita degli altri e sulla propria», spiega Sonia la cui storia è anche una storia di perdono. 
«Domenico è la persona che ha investito mia figlia. Gli ho dato perdono perché solo così potevo liberare me stessa dal rancore e portare avanti il testamento di mia figlia Fernanda che mi ha lasciato una missione: dare amore. Domenico – continua Sonia – dice spesso che se potesse tornare indietro ci si costruirebbe una casa sotto quel semaforo perché per un perdere un secondo è passato col rosso e Fernanda ha perso la vita e lui non sarà mai più lo stesso. Ha ammesso le sue colpe, Domenico, non tutti lo fanno e anche la sua testimonianza è utile per far comprendere quanto l’illusione del controllo, la scelta avventata di un attimo possano distruggere vite e cambiare per sempre la propria». 
«Spesso penso che avrei dovuto iniziare il mio percorso di volontariato prima di perdere mia figlia quando, tre anni prima, la stessa tragedia aveva colpito la famiglia della mia amica Erminia Capriglioni, mamma di Pietro Villani, ucciso dalla violenza stradale tre anni prima. Le nostre storie sono unite dallo stesso tragico destino e da partendo queste macerie abbiamo aderito a un progetto col quale mettersi a disposizione del prossimo». L’associazione di volontari ha attive collaborazioni con la Federazione motociclistica, con la Croce Rossa Italiana, organizza incontri dal vivo e da remoto nelle scuole di ogni ordine e grado, incontri pubblici e momenti di riflessione, seminari sul primo soccorso, confronti sulla giustizia riparativa. «Se nelle scuole, quando alla fine di ogni seminario dico che sono la mamma di una vittima della strada sono i ragazzi a immedesimarsi e a commuoversi, insieme ai loro insegnanti, quando incontriamo gli autori di reato, persone di tutte le età ed estrazione sociale, la loro reazione emotiva s’associa a quella di noi genitori e scatta in loro un processo di riflessione profonda». «I nostri sono percorsi concreti, proviamo a fare un po’ di rumore, a entrare nelle scuole ed estendere la nostra rete in modo fattivo; ci rimbocchiamo le maniche con tante mamme che hanno vissuto questa tragedia».
Non tutti, ovviamente, hanno la forza di Sonia. «È un dolore che annichilisce e non sempre si hanno volontà e strumenti per trarne un nuovo punto di partenza – spiega -. Come ho detto, personalmente avrei voluto muovermi prima, iniziare prima il mio percorso con Antonella Favero, con don Franco della pastorale col quale siamo entrati anche nelle carceri per il Progetto A scuola di libertà. In questi giorni ci siamo collegati con tante scuole d’Italia. Ho raccontato cosa è successo a Fernanda, il mio incontro con Domenico che non chiamo omicida, perché ha fatto grande errore». Accanto alle testimonianze, come detto, l’associazione porta nozioni tecniche che vedono i volontari aggiornarsi ciclicamente con corsi di educazione stradale e formazione motociclistica. «La preparazione ci consente di contribuire concretamente alla formazione delle coscienze, comprendere che un’auto, una moto, un veicolo può diventare un’arma ci consente di evitare comportamenti avventati molti dei quali alla base delle tragedie che avvengono sulle strade» dice Sonia. «Si parla spesso impropriamente di “incidente” come qualcosa di inevitabile, ma, analizzando i singoli casi, sappiamo che la maggior parte sono in realtà evitabili: moderando la velocità, fermandosi allo stop o al rosso, non distraendosi col telefonino, dando la precedenza, usando cautela negli incroci, rispettando le distanze di sicurezza: comportamenti basilari, in mancanza dei quali si attua quella violenza stradale che miete vittime a cadenza quotidiana», conclude Sonia Fusco.
di Mary Liguori 

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