Silvia Lecca, 47enne di Cagliari e ora residente Castelnuovo di Garfagnana in provincia di Lucca, dal 2001 a seguito di una caduta accidentale soffre di una rara patologia: la Nevralgia di Arnold, che le procura un terribile dolore alla testa a causa della lesione di ben 7 nervi. Le varie operazioni a cui si è sottoposta in vari centri per il dolore in Italia per tentare di guarire, non sono servite a nulla. Presa dallo sconforto per la sofferenza costante in questi lunghi 24 anni, Silvia ha addirittura pensato all’eutanasia. Per lei, ora l’ultima speranza è legata a un nuovo intervento che dovrà subire presumibilmente a febbraio 2025 negli Stati Uniti presso l’Hca Healthone Presbyteritan/St Luke Medicale Center di Denver. Per permetterselo, però, ha bisogno di soldi ed è per tale motivo che grazie al sostegno di alcune realtà del terzo settore del nostro territorio come la San Vincenzo De’ Paoli di Napoli e il Centro Ozanam con sede a Sant’Antimo è attivo da alcune settimane su Gofundme un Crowdfunding dal titolo: “Una vita senza dolore’’. (qui il link
I fondi da raccogliere e la sofferenza di Silvia
La cifra da raccogliere per Silvia viene calcolata in 42.000 euro, necessaria per coprire anche le spese di viaggio e la logistica oltre che il ricovero a Denver. «Sono caduta mentre partecipavo a uno stage di addestramento dei cani, la mia grande passione – racconta Silvia – Dalle prime risonanze sembrava soltanto una botta per aver sbattuto la testa. Dopo 13 anni mi e una serie di controlli, abbiamo invece scoperto che ero affetta dalla Nevralgia di Arnold, una patologia rara e soltanto nel 2019, dopo un intervento al Premier Surgery Center Concord, di San Francisco in California è venuto fuori che ho 7 nervi del tutto rescissi». L’unico risultato è stato quello di tornare a camminare senza dover più utilizzare una sedia a rotelle, ma il dolore lancinante alla testa è ancora lì a condizionarne la vita. Silvia svela anche come Per pagarmi le cure e i medicinali sia stata «costretta a vendere la casa. La mia è una patologia non diffusa e invalidante al 100% che mi preclude ogni possibilità di movimento e ogni respiro all’esterno della casa mi porta dolore. Anche le mie passeggiate sono estremamente limitate».
Il pensiero di ricorrere all’eutanasia
A piovere sul bagnato, l’insufficienza della ricerca in Italia sulla Nevralgia di Arnold. «Sul trattamento dei nervi danneggiati la Medicina in Italia è indietro – lamenta Silvia- Sono stati fatti molti esperimenti su di me, abbiamo provato tanto ma ho navigato da sola nel buio». Oramai rassegnata, aggiunge, «ho pensato all’eutanasia non come provocazione contro la sanità italiana ma semplicemente perchè non volevo continuare a vivere in questo modo. Questa è una sopravvivenza, non una vita. Ogni giorno mi sveglio alle 5 del mattino, prendo dei farmaci e delle pastiglie oltre al cortisone che mi narcotizza con il rischio di sviluppare il diabete e patologie al fegato e ai reni. Mi sono detta basta, non ne posso più. Ho letto che esistono delle strutture in Svizzera, mi sono informata sull’argomento leggendo tanto». Poi però, il fuoco della speranza di guarigione riarde. «Il chirurgo che nel 2019 mi operò a San Francisco mi disse che a Denver esiste una struttura che può ricostruire i nervi lesionati. È stata una casualità, non gli avevo certo detto che volevo ricorrere all’eutanasia, pratica che spero in generale diventi legale anche nel nostro Paese. Lo sapevano solo delle mie amiche». A questo punto Silvia ci fa capire ancora più la differenza tra l’Italia e gli Usa rispetto alla cura di una patologia come la Nevralgia di Arnold. «Recidere i nervi in modo sbagliato significa rischiare di far comparire un tumore. Gli interventi di neurostimolazione midollare, con dei pacemaker con elettrocateteri da impiantare all’interno del midollo spinale per stimolare le radici dei nervi sino al cervello. Negli Usa lo si fa da dieci anni, in Italia siamo lontanissimi da quegli standard». Non solo: la spesa per l’acquisto dei medicinali è esoso. Silvia fa dei rapidi calcoli. «Di farmaci spendo 500-600 euro al mese a cui si aggiungono altri 500 euro in media per le visite anche senza fuori regione perché in Toscana non c’è niente. I vari interventi mi hanno lasciato delle aderenze. Per fare un esempio: il prossimo 20 dicembre dovrò andare a Catania per fare delle semplici infiltrazioni». Silvia da 3 anni è stata riconosciuta invalida al 100%. «In precedenza mi venivano riconosciuti dall’Inps 300 euro con invalidità civile. Ora prendo 700 euro al mese più l’accompagnamento a cui si aggiunge l’assegno di inclusione dello Stato per pagare l’affitto. In totale: 1270 euro al mese. Far fronte a tutte le spese è pesante».
La solidarietà del Terzo Settore
E ora l’organizzazione, non semplice, del viaggio e il ricovero a Denver. Gli alti costi hanno spinto la San Vincenzo de’Paoli e del centro Ozanam a mettere in moto la macchina della solidarietà. Silvia dice orgogliosa: «Li ho conosciuti durante il mio soggiorno a Napoli quando sono venuta per sottopormi alcuni mesi fa a due operazioni al Centro del dolore del Monaldi. Sono eccezionali, mi hanno facilitato gli spostamenti che da sola non potevo fare». Peccato, però, che gli interventi dell’ospedale di via Leonardo Bianchi e quello all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Verona non si siano stati risolutivi per la guarigione proprio per il gap che sconta l’Italia. Dalla San Vincenzo de’ Paoli e dal Centro Ozanam sono arrivati altri concreti e tangibili segnali: la diffusione della raccolta fondi su GoFoundMe, il racconto della storia di Silvia Lecca e una vendita di panettoni domenica scorsa da parte dei volontari del Centro Ozanam, della Comunità di San Vincenzo Ferreri e della mini Conferenza San Filippo Neri presso la parrocchia San Vincenzo Ferreri di Sant’Antimo.
di Antonio Sabbatino