Ci sono storie che parlano di lieto fine, di accoglienza, integrazione e di famiglie che si ritrovano, si riscoprono, si ricostruiscono. Ci sono storie che parlano lingue diverse ma che trovano nel linguaggio dell’amore la possibilità di generare ponti e abbattere il pregiudizio. Ci sono storie che sono storie belle anche se dentro ci sono parole un po’ asettiche, strane, un po’ fredde, parole come “imprese”, “cooperazione” e “terzo settore”. Ci sono storie che dicono che accogliere è bello, ma è ancora più bello quando l’accoglienza non è assistenzialismo e l’immigrato che mette piede nel nostro Paese non è considerato un peso ma una risorsa. Di storie di integrazione ce ne sono, per fortuna, tante, ma poche sono destinate a creare un vero e proprio “ponte” tra l’Italia ed il paese d’origine di chi qui ha trovato la sua seconda casa. Una di queste storie inizia a Portici ed ha un sapore dolce anche per il luogo dove si svolge.
Giá, perché è nel laboratorio della storica gelateria Gallo di Portici che le vite di Ibrahim, di Lamine e dei membri della famiglia Gallo si sono intrecciate strette strette per quella che è diventata una bellissima realtà dove imprenditorialità + sociale hanno un valore più grande di una semplice addizione. Un valore che tocca un piano più profondo, che parla di riscatto e di salvezza, ma anche di radici.
Questa storia inizia più o meno cinque anni fa, quando la cooperativa sociale Shannara avvia la selezione dei beneficiari del progetto “Le rotte del gusto”. Shannara in particolare opera da circa 30 anni nell’area dell’accoglienza residenziale di minori, italiani e stranieri, di età compresa tra i 13 ed i 18 anni. Mission principale della cooperativa è la tutela dei diritti fondamentali dei minori, il contrasto all’esclusione sociale di soggetti in situazione di svantaggio socio-ambientale e la promozione del benessere attraverso l’attivazione di percorsi di sostegno finalizzati al raggiungimento dell’autonomia personale e sociale. Ebbene, in questo quadro, l’attenzione si posò appunto, cinque anni fa, proprio su Ibrahim e Lamine.
«Entrambi non parlavano molto bene l’italiano – spiegano dalla cooperativa sociale – ma volevano essere coinvolti nel progetto perché sapevano che poteva essere la loro occasione per cambiare la loro vita nel paese ospitante».
Da lì è partita questa avventura così particolare, e i ragazzi lasciandosi alle spalle famiglia, povertà, traversate sui barconi e un futuro già compromesso prima ancora di diventare tale, hanno iniziato a lavorare e al contempo a imparare la lingua, Edoardo Gallo, identificò sua moglie Diana come mentore per i due ragazzi, era la loro preferita e grazie al suo tutoraggio, Ibra e Lamine hanno potuto migliorare il loro italiano in pochissimi mesi, iniziando a lavorare e a lavorare sodo. A cinque anni da quel “via” il tirocinio in gelateria si è trasformato e si è trasformato in un contratto a tempo indeterminato. «Il mio desiderio – spiega Ibra – è quello di tornare indietro, alle mie origini, e di costruire lì il mio futuro insieme alla mia famiglia e alla mia fidanzata. Sto lavorando per questo, sto mettendo i soldi da parte, sono grato per tutto questo ma la mia vita è lì».
Lamine invece è già sposato, seppur giovanissimo, e anche lui ha intenzione di ritornare a casa, con il futuro in tasca.
I ragazzi a cinque anni dall’inizio di questa avventura sono completamente indipendenti e quasi del tutto padroni della lingua. La lingua, appunto, «inizialmente era il più grosso ostacolo da superare – spiega Diana – ma loro sono stati bravissimi, pronti ad imparare, sempre rispettosi». E ancora oggi il rispetto reciproco è la base del rapporto lavorativo oltre che umano: «I ragazzi nel corso della giornata, durante il lavoro, si fermano a pregare. Per noi non è un problema, lo sappiamo e li rispettiamo, così come loro rispettano noi – dice Eduardo Gallo, il titolare dell’azienda di gelati che ha reso questa cooperazione possibile – quando capita di organizzare dei momenti conviviali, quando c’è la possibilità di mangiare assieme, sapendo cosa loro possono o non possono fare, ci comportiamo di conseguenza. La convivenza tra realtà così diverse è possibile quando alla base di tutto c’è il rispetto. Questi due ragazzi hanno fatto da noi un tirocinio, poi quando abbiamo avuto la possibilità di stabilizzarli è stato scontato assumere loro: erano formati, rispettosi, avevano imparato la lingua e il mestiere, e quindi eccoci qua».
In effetti tutto si può riassumere così: la cooperazione tra il terzo settore e le imprese private ha avuto successo perché entrambe le parti hanno avuto la volontà di riuscirci.
«L’esperienza di Ibrahim, Lamine e la famiglia Gallo è tra quelle che ancora oggi portiamo come esempio di lavoro di rete territoriale – continuano a spiegare dalla cooperativa Shannara – il terzo settore ed un ente privato hanno lavorato per l’integrazione sociolavorativa dei due ragazzi. Non è stato semplice perché la mancanza della conoscenza della lingua italiana complicava la relazione ma Diana, la moglie dell’imprenditore che ha aperto le porte della sua azienda e del suo cuore, ce l’ha messa tutta perché i ragazzi la imparassero. Questa storia – concludono – è una storia che ha avuto ed ancora ha un impatto sociale, economico e culturale sul territorio ed è portatrice sana di una bella storia di integrazione».
Ad oggi i due ragazzi sono impegnati prevalentemente nei laboratori di preparazione di gelato e torte, «ma quando impareranno meglio la lingua – sottolineano Edoardo e la moglie – non ci sará alcun problema a farli lavorare al banco a contatto con il pubblico».
di Nadia Labriola