L’incapacità di fare rete tra gli enti, come spada di Damocle sulla garanzia di servizi e di inclusione dei migranti presenti sul territorio di Napoli. È questa la più grande preoccupazione emersa nella ricerca della Sperimentazione Pilota del Service Design connesso al progetto Fami Impact Prog-2451 che vede la Regione Campania come ente capofila e l’adesione del Comune di Napoli attraverso l’area Welfare. A discuterne nella mattinata di martedì nella Sala del Capitolo del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, tra gli altri, Daniela Fiore, presidente della cooperativa di Less che ha recitato un ruolo attivo nella ricerca, il Consulente nelle politiche sociali e Service designer programma Impact Carlo Maria Cananzi, la professoressa Stefania Capecchi, referente scientifica del programma Impact, Maria Teresa Terrieri, presidente di Cidis Onlus, la psichiatra presso il Unità Operativa di Salute Mentale del Distretto 31 dell’Asl Napoli 1 Centro Manuela Guarnieri e l’assessore al Welfare del Comune di Napoli Donatella Chiodo.

La metodologia utilizzata– Attraverso il metodo Service Design i soggetti coinvolti sono stati intervistati tenendo presente tre fattori fondamentali: desiderabilità, fattibilità e praticabilità dei bisogni dei migranti. «Abbiamo ascoltato dei testimoni privilegiati tra dirigenti e funzionari delle pubbliche amministrazioni, Asl, Comune e poi terzo settore, sindacati tutte le realtà che insistono su Napoli ed è emerso che tutti dicono le stesse cose: c’è un difetto di rete, un limite nella costruzione di reti perché si va sull’emergenza e poi c’è autorefernzialità» ricorda il Service designer programma Impact Carlo Maria Cananzi aggiungendo: «Con il cambio in corso d’opera delle esigenze, fare rete diventa necessario e tutti gli attori coinvolti devono essere responsabilizzati e anche la Prefettura non convoca più il consiglio territoriale sul monitoraggio dei migranti. Al di là delle risorse economiche, basterebbe una maggiore condivisione con la presa in carico che non deve essere emergenziale ma di sistema. Se a una persona viene risolto un problema – dice ancora Cananzi – poi capita spesso che chiede di nuovo un supporto per risolverne un altro e così non va. La presa in carico del soggetto deve riguardare tutti i servizi». Pigia sugli stessi tasti l’assessore al Welfare del Comune di Napoli Donatella Chiodo. «Partecipando a progetti come Impact anche per un ente come il nostro c’è la possibilità di capire meglio i bisogni emergenti, da lavorare in modalità multidimensionale, lavorato insieme allo sport, alla cultura ma anche sul verde, sulla digitalizzazione, l’informatizzazione e non solo altrimenti un territorio fragile come il nostro non riuscirà a raggiungere mai i risultati sperati, c’è necessità di una trasversalità. E il nuovo piano sociale di zona che stiamo per approvare cerca di andare proprio in questa direzione». Strano ma vero, scarseggiano ancora oggi le banche dati. «È vero – conferma Chiodo – servirebbe un’implementazione con i fondi Pon Metro. Ognuno dei vari settori coinvolti ha una banca dati propria, che però non condivide. E questo è un problema che si aggiunge alla scarsità delle risorse umane oltre che economiche anche nelle politiche sociali per quanto riguarda il Comune di Napoli».

I dati – Qualche riferimento numerico sulla presenza dei migranti a Napoli e nell’area metropolitana viene in soccorso alla portata delle domande dei servizi da soddisfare. Al gennaio 2020 – secondo il riferimento di dati Istat – nel capoluogo sono stati conteggiati 61.000 migranti regolari, un terzo della popolazione dell’intera regione Campania. Le principali nazionalità degli stranieri su questo territorio riguardano il Bangladesh, ma anche il Pakistan e l’Est Europa in età lavorativa. Sino alla soglia dei 40 anni, la prevalenza è di sesso maschile mentre dai 51 ai 60 anni prevalgono persone di sesso femminile. Al 2018 risalgono le rivelazioni maggiormente puntute sull’area metropolitana di Napoli che parlano di una natalità degli stranieri pari al 4,5% del totale e una percentuale di occupati del 6,4% percentuale minore rispetto al 7,1% della media nazionale. E andando per settori singoli e non univoci nella garanzia dei servizi, integrazione, benessere e sviluppo appaiono orizzonti piuttosto lontani.

di A.S.