In occasione della giornata della memoria, abbiamo voluto proporvi l’intervista a Nico Pirozzi, giornalista, scrittore e profondo
conoscitore dell’Olocasuto, pubblicata sul numero cartaceo gennaio della rivista Comunicare il Sociale.

Come nasce il suo interesse per la shoah e la storia degli ebrei nel mondo?

«Probabilmente dai racconti di mia mamma, originaria di una città che, a differenza di Napoli, ha conosciuto le deportazioni. E anche le domande senza risposta quando vedeva sparire intorno a lei persone che conosceva e, purtroppo, mai più tornate».

Tutti sanno dello sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ma pochi sono a conoscenza della legislazione antisemita italiana, risalente a quel periodo.

«Per capire quel che accadde agli ebrei in Italia, basterebbe dire che tra il 7 settembre del 1938 (data di approvazione del R. Decreto legge n. 1381) e il 28 febbraio 1945 (entrata in vigore del Decreto legislativo del duce n. 47) il governo fascista, con la complicità di Vittorio Emanuele III, ha introdotto oltre 400 provvedimenti di vario genere contro gli ebrei, comprese le centinaia di circolari e ordinanze periodicamente disposte dalle autorità di Polizia e dalla Direzione generale per la demografia e la razza (Demorazza). Per eliminare l’ultima di queste norme discriminatorie (Decreto ministeriale 10 febbraio 1987) ci sono voluti quasi cinquant’anni. La più infame di questi provvedimenti è sicuramente contenuto nel cosiddetto “Manifesto” di Verona del 14 novembre 1943 che “Qualifica gli appartenenti alla razza ebraica stranieri, e durante la guerra nemici”. La porta principale attraverso la quale far uscire gli ebrei con in tasca il biglietto di sola andata per Auschwitz».

Nel suo ultimo libro “Salonicco 1943” pubblicato nel 2019, però racconta anche dell’altra faccia della medaglia, di una compagine di italiani che non si rese complice dello sterminio della comunità ebraica sefardita più grande d’Europa.

«Si tratta di una storia poco nota. Riguarda il ruolo svolto da uomini delle istituzioni, in particolare della diplomazia, nello strappare centinaia di ebrei dalla deportazione e dalla morte. Nel mio caso ho parlato del ruolo svolto dal personale del consolato di Salonicco e del console Guelfo Zamboni, in particolare».

di Caterina Piscitelli