Un laboratorio di giornalismo, un altro di fumetti, quello di teatro. E ancora street food, street art, web radio oltre a percorsi di educazione civica, alla legalità, multiculturale. Ad esserne coinvolti in totale saranno 300 ragazzi dai 6 ai 16 anni provenienti dal Rione Sanità individuati grazie all’ausilio delle scuole e delle associazioni del territorio. Entra nel vivo il progetto Piter, acronimo di Percorsi di Inclusione Territoriale ed Empowerment nel Rione Sanità, portato avanti da due cooperative costituitesi in Ati, la San Francesco (capofila) di Caltagirone e Consorzio Luna con sede ai Colli Aminei dei padri rogazionisti, nell’ambito di un bando Pon Legalità 2014-2020 da 2,8 milioni di euro complessivi che vede coinvolti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Napoli e la Terza Municipalità sino al 31 dicembre 2021.

In questa fase buona parte dei laboratori e delle attività si terranno al Ristorante Amici del Real Bosco dei Ponti Rossi, ma saranno messe a disposizione dei ragazzi altre strutture individuate al Rione Sanità. «Noi non vogliamo creare talenti, Einstein o Jimi Hendrix. Per noi i laboratori sono un modo per osservare il mondo ed essere cittadini del mondo sviluppando nei ragazzi che vi partecipano la capacità di lettura del contesto che li circonda, esprimendo i loro diritti e voglia di vivere e di vedere la vita» afferma Simona Planu, coordinatrice di Piter incontrata proprio al ristorante Amici del Real Bosco nel giorno dell’accoglienza dei ragazzi.

Il progetto si avvale di 28 educatori, una equipe di esperti di laboratorio, 7 in tutto, ed un’altra multidisciplinare di cui fanno parte un assistente sociale, un mediatore culturale, un mediatore familiare, una psicologa. Fondamentale è far sentire i ragazzi protagonisti di Piter, soprattutto quelli che loro malgrado vivono una condizione familiare e sociale complicata. Ed è in questa direttrice che si muove Franco Di Martino, istruttore di Judo della palestra Sporting Club Cavour di via Mario Pagano, una realtà che opera grazie al supporto dell’associazione intitolata a Genny Cesarano, vittima innocente di una stesa di camorra. «Alla Sanità spazi non ce ne sono e di progetti veri se ne vedono pochi – avverte Di Martino – Sono necessari gli educatori di strada, quelli che riescono ad intercettare i ragazzi con più difficoltà».

«Un riscontro positivo – rivendica la coordinatrice Simona Planu- l’abbiamo avuto già nel lockdown, quando abbiamo avuto degli approcci con i ragazzi, seppur a distanza. Io stessa ho tenuto ad aprile un laboratorio chiamato “Storia di libertà e resistenza’’, parlando del 25 aprile e in concomitanza con la morte dello scrittore Luis Sepulveda impegnato con sua moglie nella lotta per la libertà del Cile. Inoltre -chiosa la Planu-abbiamo anche creato una rivista online in cui i ragazzi si sono raccontati, ricevendone un supporto psicologico oltre che narrativo sia per alleggerire il carico delle famiglie sia per creare i presupposti per la collaborazione in famiglia e piccoli compiti per creare una routine sana». 

di Antonio Sabbatino