Sono state le associazioni operanti nei singoli quartieri a far fronte alle necessità e ai bisogni di chi, senza lavoro e senza bonus statali, ha dovuto garantirsi la sopravvivenza durante e dopo il lockdown. Nel quartiere Vasto di Napoli, ActionAid Italia insieme con altre associazioni solidali ha deciso di “seminare” una solidarietà antirazzista decidendo di rispondere alle esigenze delle comunità migranti, che troppe volte vengono ignorate. È Daniela Capalbo, Program Developer dell’Unità Disuglianze Globali e Immigrazione di ActionAid Italia, a parlare del progetto S.E.E.D.S.


Come è nato il progetto e quali sono gli obiettivi?
«Seizing Equality to Escape the Disruption of Society” è un progetto realizzato da ActionAid Italia in collaborazione con una rete di associazioni e comunità in diaspora: Hamef, Senaso, The Gambian Italian Association, Bellarus, Vivlaviv, Slow Food Napoli, UNITI Campania. Nasce dalla volontà di fornire una risposta concreta alla condizione di invisibilità e difficoltà di una fascia di popolazione (quasi esclusivamente non italiana) durante l’emergenza Covid19 a Napoli. Lavoratrici e lavoratori autonomi, a nero, attive nel lavoro di cura e nel piccolo commercio sono state estromesse
dall’accesso ai sussidi governativi perché non in possesso del requisito di residenza o di soggiorno. Con il lockdown si son trovate senza lavoro e con spese di sostentamento e di affitto da pagare, isolate dai circuiti informativi istituzionali (solo in italiano) per la mancanza di reti sociali diversificate
e non ghettizzanti».


In cosa consiste e come avete organizzato questa rete di solidarietà?
Abbiamo dato vita a una squadra di attivisti di ActionAid, volontari, che sta crescendo perché i destinatari degli aiuti, forti della fiducia stabilita con il team, chiedono sempre più spesso di partecipare e aiutare a loro volta altre persone bisognose. In questo modo stiamo sviluppando una comunità multiculturale che si riconosce e può produrre un cambiamento culturale che coinvolge tanto gli italiani quanto gli immigrati. Ci sono, inoltre, delle attività svolte a distanza come il supporto scolastico per i più piccoli».


Guardando alla recente possibilità di regolarizzazione del lavoro di cura e domestico, come state procedendo?
«Tra i destinatari ci sono molte donne, in gran parte badanti delle comunità russofone, ma non solo. Questa sanatoria, dobbiamo riconoscerlo, suscita sensazioni ambivalenti: da un lato, siamo contenti che decine di migliaia di persone riusciranno ad essere regolarizzate ma, al tempo stesso, denunciamo la condizionalità e la limitatezza dei settori produttivi interessati, indice di un retaggio coloniale e neocoloniale che spaventa molto. Stiamo partecipando alla valutazione degli emendamenti alla sanatoria formulati da reti nazionali (Ero straniero) attivandoci per condividere con attori che operano sui territori degli strumenti di monitoraggio sulle prassi operative così, da far emergere e denunciare eventuali truffe purtroppo ricorrenti in queste circostanze, ricatti, assunzioni proforma, e ci impegnamo affinché le persone siano consapevoli delle procedure».

di Emanuela Rescigno