Una condizione pregressa di povertà assoluta che la pandemia da Covid-19 sta ora ulteriormente ingigantendo, andandosi diabolicamente ad accanire contro chi ogni giorno è già costretto a lottare solo per racimolare qualcosa da mangiare o pregare per accedere alle scarsissime cure sanitarie. Di tutto ciò ne sono ben consapevoli i volontari di Gma Napoli, che da decenni nei villaggi più remoti dell’Etiopia portano avanti opere di scolarizzazione in favore dei bambini e di sostegno umanitario. La nuova emergenza da Coronavirus va ad aggiungersi a quelle antecedenti mai davvero risolte, in una delle nazioni più povere del continente africano e un tempo colonia italiana. Fiutato l’enorme pericolo, dalla Gma Napoli, fondata da Nunzia Gatta e (che sede in via San Nullo, a Licola nel giuglianese, stanno portando avanti il progetto denominato Etiopia#covidfree in favore degli abitanti dei distretti di Halaba, Asella e ora Shashamane, località quest’ultima a Sud del Paese e che dista 250 km dalla capitale Addis Abeba. «Mantenere il distanziamento sociale in quelle località è praticamente impossibile, ci sono classi anche di 80/100 bambini ora a rischio dispersione scolastica perché la pandemia ha costretto il governo a sospendere le lezioni per il rispetto della quarantena.

L’alternativa per questi minori è la strada. La scuola dovrebbe riprendere a settembre, ma in che condizioni resta un’incognita, il pericolo di contagio è molto alto» lancia l’allarme Laura Longo, giornalista pubblicista e volontaria di Gma Napoli in diverse occasioni recatasi in Etiopia dove con una cadenza trimestrale, di volta in volta, sostituendo chi ci è stato in precedenza, approdano per la cooperazione i ragazzi del servizio civile, medici, insegnanti coinvolti nel progetto.

«Mettere in campo le opere di sanificazioni e di sorveglianza epidemiologica per contrastare il Covid 19 è molto complicato in Etiopia – insiste Longo – A tale scopo è aperta la campagna gofoundme (gofoundme.com è la piattaforma che rimanda al progetto Etiopia#Covidfree ndr.), una raccolta fondi a sostegno di una popolazione già provata dalle sofferenze dovuta alle precarissime condizioni igienico-sanitarie. Il cibo e l’acqua scarseggiano, tanti bambini vivono in capanne senza luce che le piogge spesso spazzano via.Con le donazioni, possiamo salvarne tanti».

GmaNapoli punta anche sulle adozioni a distanza dei bambini: bastano 300 euro all’anno per determinare per loro un futuro, contribuendo così a costruire la prossima classe dirigente dell’Etiopia permettendo ai giovani di accedere al mondo universitario e del lavoro, decisamente precario a queste latitudini. «Ed è su questo che bisogna puntare per non sprecare tutto il lavoro fatto in decenni da GmaNapoli in Etiopia» afferma la ginecologa Maria Luisa Porzio, che ha visto con i propri occhi operando nei villaggi cosa voglia dire nascere, non per propria colpa, in una delle parti più diseredate del globo.

«Il rapporto tra operatori sanitari e 1000 abitanti in Etiopia è di 0,1, relegando il Paese al 175 esimo posto su scala mondiale. È un dato significativo, vuol dire che tantissimi bambini, ma anche adulti, non possono accedere alle cure mediche, spesso eccessivamente costose. Se tanti etiopi non riescono ad avere cibo e acqua, è ancora più complicato per loro acquistare una mascherina per prevenire il contagio da Coronavirus. La situazione a Shashamane e altrove è questa, dovremmo ricordacelo anche quando ci lamentiamo noi delle limitazioni imposte dal Covid 19» dice ancora Maria Luisa Porzio.

Con enormi sacrifici, Gma ha realizzato nel tempo 3 case famiglie destinate all’accoglienza dei ragazzi oltre ad aver permesso ai bambini di dotarsi di una divisa scolastica da indossare durante le lezioni condotte da insegnanti spesso non pagati per la scarsità di fondi. Ora è in costruzione a Shashamane una quarta casa famiglia, con l’idea di destinarla alle bambine la cui unica alternativa è la strada o al massimo qualche matrimonio combinato. Maria Luisa Porzio dà un ulteriore visione necessaria a capire il quadro d’insieme dell’Etiopia dal punto di vista medico e sanitario.

«Nel Paese, ancora oggi, si muore per malaria, per malnutrizione e non certo solo per il Coronavirus».


Quanti etiopi hanno contratto o rischiano di contrarre il virus? «Difficile saperlo perché stime ufficiali o anche ufficiose mancano, è questo il perimetro entro cui ci si muove», risponde la ginecologa. Eppure, la sede dell’Unione Africana si trova proprio Addis Abeba, il governo presieduto da Aby Ahmed Alì, peraltro premio Nobel per la pace nel 2019, ha lanciato un ambizioso piano di sviluppo economico del Paese e, soprattutto, dal 2017 il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità è l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. Ma i principali attori della geopolitica e gli esponenti delle più altre cari- che ai più alti livelli non devono affrontare la fame come gli abitanti di Halaba, Asella e Shashamane relegati nell’angolo più remoto della Terra inghiottiti da un’invisibilità dalla quale solo i volontari di GmaNapoli riescono, in parte, a farli uscire.

di Antonio Sabbatino