Un pieno riconoscimento della propria professionalità, dopo aver affrontato con enormi difficoltà l’emergenza Covid-19 nei reparti di ospedale, nei pronti soccorsi, sulle ambulanze del 118. Ritrovandosi in oltre 30 piazze italiane il Movimento Nazionale Infermieri, gruppo che tiene a sottolineare la propria natura a-politica e apartitica, fa sentire la propria voce anche da Napoli con un flash mob tenutosi questa mattina in piazza del Plebiscito. Non solo, l’iniziativa è anche l’occasione per ricordare, con il volo di palloncini rossi, tutti quei sanitari che hanno perso la vita nella battaglia contro il Coronavirus. Uscita dal Comparto e stipula del primo contratto esclusivo per l’Infermiere, superamento del vincolo di esclusività, adeguamento dei salari sono alcune delle principali rivendicazioni degli aderenti alla sigla a livello nazionale.

«Siamo la spina dorsale imprescindibile del sistema sanitario nazionale. Non vogliamo più applausi dai balconi, non vogliamo essere chiamati eroi e non vogliamo le medaglie a Cavalieri d’Italia» urlano anche gli appartenenti campani del Movimento Nazionale Infermieri. Tante le storie che si celano dietro ai volti dei presenti in piazza del Plebiscito, ognuno dei quali tiene su un cartello con un messaggio di rivendicazione di stabilizzazione dei precari e del miglioramento delle generali condizioni lavorativi nei presidi ospedalieri. «Abbiamo responsabilità civili e penali al pari della categoria medica e siamo considerati ancora infermieri tutto fare» ricorda Tiziana Piscitelli, referente territoriale del gruppo e infermiera al Cto dal 2011 dopo esperienze, da precaria, all’ospedale San Camillo di Roma e al Meyer di Firenze.

«Dal punto di vista organizzativo si poteva fare di più per la prevenzione della diffusione del Covid e all’inizio abbiamo lavorato senza le sufficienti condizioni di sicurezza. Indossavamo le mascherine, ma la Ffp2 è arrivata solo dopo» afferma Marina Cacciapuoti, 32 enne infermiera precaria dell’Azienda Ospedaliera dei Colli. C’è poi chi il Covid l’ha conosciuto davvero perché oltre a combatterlo da infermiere, l’ha contratto. È il caso di Lino Romano, infermiere 46 enne del Cotugno. «Sono risultato positivo al tampone durante il picco della pandemia, attorno al 30 marzo curandomi per un mese nel mio reparto, prima di altri 15 giorni di isolamento a casa. Ancora oggi mi sento spossato e non riesco più a lavorare ai ritmi di prima. A destabilizzare – prosegue Romano –  è stato soprattutto la necessità di gestire tantissimi casi in pochissimi tempo. Il Cotugno ha 100 posti, 8 di terapia intensiva. Non sapevamo più dove portarli perché negli altri ospedali c’è stata la lentezza nell’affrontare la cosa e mi riferisco all’allestimento delle sale».

di Antonio Sabbatino