Tra un edificio malmesso e l’altro i fili installati ai contatori della corrente penzolano pericolosamente ad altezza d’uomo, pronti ad andare in corto circuito alla prima scintilla che può innescarsi in qualsiasi modo. Le tubature idriche, fatiscenti, perdono acqua creando qua e là diverse pozzanghere. Tutto intorno sorgono ammassi di rifiuti, alcuni anche speciali, preludio ad una possibile emergenza sanitaria. La descrizione appena fatta coincide con la pessima condizione in cui convivono dalla notte dei tempi centinaia di persone ai cosidetti “bipiani’’ di via Isidoro Fuortes, nel quartiere Est di Ponticelli. Costruite come case parcheggio su di un’area di pertinenza del Comune di Napoli subito dopo il sisma del 1980, al loro interno vivono da decenni svariate decine famiglie italiane e straniere – perlopiù albanesi e africane – dimenticate da Dio e dagli uomini. Il numero di persone è superiore alle 250 ma visti i diversi arrivi soprattutto di stranieri negli ultimi anni l’approssimazione è per difetto. Il dramma spesso può essere come un pozzo senza fondo e alla già pessima quotidianità gli abitanti hanno dovuto combattere e combattono tuttora contro gravi malattie, eredità soprattutto del rilascio nell’atmosfera particelle d’amianto, materiale con il quale queste case di un azzurro intenso, fredde d’inverno e bollenti d’estate, sono piene dalle fondamenta al tetto. «I casi di decessi per tumore sono stati diversi ed anche io sono sofferente alla tiroide. Negli anni solo promesse vuote per noi da parte di politici e istituzioni. Siamo stanchi anche dell’arrivo dei giornalisti, delle tv perché fanno finta di aiutarci per poi dimenticarci». A parlare è Nunzia, da 15 anni ai “bipiani’’, che guarda con sospetto e sfiducia alla visita di sabato 8 febbraio del viceministro in quota M5S con delega alla Salute Pierpaolo Sileri giunto per un’ispezione in via Isidoro Fuortes insieme a parlamentari, consiglieri regionali, comunali e municipali del Movimento. Lei, come gli altri, non vuole essere ripresa dalle telecamere perché si dice «stufa delle speculazioni». Negli anni s’è verificato una sorta di ricambio all’interno dei “bipiani’’: chi è arrivato subito dopo il terremoto di 40 anni fa ha finalmente avuto un alloggio dopo tanto peregrinare e a subentrare sono state famiglie altrettanto disperate. Alcune di queste non dispongono neppure della residenza (altre invece sono nelle liste del Comune di Napoli per sperare di avere un nuovo alloggio) dopo aver occupato gli edifici. Tra gli occupanti c’è Dao 40enne originario della Costa d’Avorio. «Io ho dovuto occupare perché dopo essere stato sfrattato da piazza Carlo III avevo bisogno di un tetto per i miei figli». Ma non tutti sono contenti di questo arrivo massiccio degli stranieri e qualche tensione con gli autoctoni non manca. «Gli animali nelle stalle vivono meglio, siamo invisibili a tutti» afferma Salvatore che per accudire il figlio con un ritardo cognitivo e la moglie con problemi di deambulazione ha dovuto lasciare il suo lavoro di trasportatore. Ma ci sarà mai la possibilità di un miglioramento della vita di queste persone? Nell’immediato appare difficile nonostante mesi fa la Città Metropolitana di Napoli attraverso il suo piano strategico abbia stanziato circa 1,9 milioni di euro per la demolizione dei 104 moduli abitativi dei “bipiani’’ e lo smaltimento dell’amianto. I tempi sono comunque incerti e resta inevasa la questione di dove trasferire le famiglie. Dettaglio non da poco.

di Antonio Sabbatino