Perché scrivere un diario delle resistenze? Perché fa bene all’anima sapere che c’è chi non si arrende. Troppo spesso, tutti noi, siamo schiacciati dalla prepotenza dei più forti e invasi dallo scoraggiamento. Il rischio di pensare che il nostro impegno sia inutile, una insignificante goccia nel mare, è sempre dietro l’angolo. Sapere, invece, che c’è gente che re-esiste ci fa sentire meno soli, ci spinge a non mollare. Ci costringe a non perdere la speranza. Ecco allora un diario che è nato e vive nella polvere, quella delle strade dove hanno luogo gli incontri e gli scontri di uomini e donne comuni, eroi quotidiani, che non vogliono rinunciare al diritto alla felicità. Ascoltando le loro storie ho trovato ritrovato il senso della fratellanza, della fraternità. Mi sono divertiva, arrabbiata, emozionata. Soprattutto ho visto con i miei occhi che la resistenza è possibile, anche per tutta la vita. E che il mondo non lo salveranno gli eroi, ma gli uomini e le donne di buona volontà.
______________________________________________________________________________________________________________________________________
NAPOLI- Se tanti anni fa qualcuno avesse detto a Enzo Tosti che centomila persone, in una giornata piovosa e umida di novembre, sarebbero scese in piazza per dire “no” al biocidio avrebbe risposto che era solo un bel sogno, ma sul suo volto si sarebbe fatto anche spazio quella tipica espressione sardonica di quando pensa che le cose impossibili non lo sono per sempre o per davvero. Lui, quando venti anni fa ha iniziato a denunciare gli sversamenti di rifiuti pericolosi nelle campagne del casertano, la sua terra, è stato letteralmente “preso per pazzo”. Agli occhi di molti sembrava un moderno Don Chisciotte, con i suoi Sancho Panza al seguito, che invece di scorazzare per la Mancia se ne andava in giro per le campagne casertane a combattere un nemico inesistente: lo scempio ambientale. Ma Enzo lo sapeva che il suo nemico era invece molto reale e non ha arretrato di un solo passo. Anzi. Ha fatto rete, incontrato altre decine di Don Chisciotte come lui, che hanno studiato, si sono informati, e hanno compreso che una fetta della mostra meravigliosa terra era tenuta sotto scacco da un intreccio mortale fatto di politica corrotta, imprenditoria criminale e camorra, sintetizzato nel termine terra dei fuochi. Che fare? Andare via o restare e lottare per un futuro migliore? Gli occhi innamorati e il tono appassionato delle parole di Enzo sono già la risposta.
Quando mi ha raccontato per la prima volta la storia del suo impegno, con l’ardore degno di un guerriero, mi ha detto perentorio: «Io ho deciso di lottare. Perché questa è la mia terra!». Poi con una raffica di parole mi ha spiegato di come ha conosciuto Padre Maurizio Patriciello intorno al quale si sono uniti tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che già prima delle dichiarazioni del camorrista Schiavone scendevano in piazza contro i roghi tossici.
«Io e tanti altri attivisti avevamo iniziato a girare sui territori per informare la gente, protestare, sostenere, e in quei giri ho incontrato tante giovani mamme che avevano perso i loro figli per la “brutta malattia”, il tumore». In terra dei fuochi si muore più che altrove. Si muore giovani. Questo è un dato di fatto, è il dolore dei sopravvissuti a cui il nesso di casualità tra inquinamento e malattia, mentre gli scienziati continuano a discutere sulla sua reale esistenza, è drammaticamente chiaro.  
«L’unione fa la forza, si sa, così nel luglio 2012 mettemmo in piedi il Coordinamento Comitati Fuochi che aggregava oltre quaranta organizzazioni di Napoli e provincia, schierate a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Poi ci fu il 16 Novembre del 2013». Enzo si arresta, sospende il respiro, il ricordo di quel fiume in piena contro il biocidio, che invase le strade bagnate di Napoli, lo commuove ancora. «La speranza era diventata reale, non eravamo più quei soliti quattro pazzi, ma c’erano i cittadini venuti da ogni parte della Campania e non solo. Ci abbracciammo a lungo sotto la pioggia con Padre Maurizio, Amalia, Mauro, Marzia, e con tanti altri perché in quel giorno qualcosa era cambiato».
Centomila persone, infatti, non si possono ignorare. Impossibile, ora, negare il martirio della Campania, che poi è quello dell’Italia intera. Il Governo si vede costretto ad approvare un decreto che si chiama proprio “terra dei fuochi”, «una legge che noi abbiamo contestato, ma che riconosceva finalmente lo scempio ambientale». Questo, però, non è un punto di arrivo e nemmeno di partenza. È solo la tappa intermedia di un percorso di re-esistenza. «Il sentimento che ha prevalso in quell’autunno caldo è stato la rabbia, ma il Coordinamento non aveva una direzione ben strutturata, né un pensiero politico organizzato e col tempo questo è balzato agli occhi. Tutti erano impegnati nel tenere i riflettori quanto più accesi possibile sul problema: maratone con i giornalisti di tutto il mondo, ospitate tv, dibattiti e marce ovunque».
Ma passata la scia del clamore mediatico, la resistenza ambientalista avrebbe rischiato l’estinzione se non si fosse trasformata in qualcosa d’altro. Ed ecco che nel 2016 nasce la Rete di Cittadinanza e Comunità, un organismo che mette insieme tante realtà territoriali volte all’esercizio costante delle cittadinanza responsabile e di comunità. È qualcosa di diverso: non è più solo pancia ma anche pensiero. Riflessione sul modello di sviluppo dei territori, su quello che deve essere il diritto a una vita dignitosa per ogni essere umano. In quel preciso momento è iniziata la Re-Esistenza di Enzo e di tutti gli attivisti della Rete. Una scelta di vita e di amore verso l’Antica Madre, verso la vita. Nel frattempo Enzo ha scoperto di essere malato di leucemia. Anche lui è entrato nel girone infernale delle diagnosi e del protocollo delle cure. Ma non ha voglia di parlare della sua malattia, vuole continuare a raccontarmi della lotta per la giustizia sui territori, dell’opposizione a un’idea di sviluppo incentrata sullo sfruttamento della Madre Terra e dei deboli. Le sue parole sono pietre, scagliate contro ciascuno di noi. Perché è dai piccoli gesti della vita quotidiana che si inizia a salvare il mondo, da quello che si compra, da quello che si mangia, dal tempo che si dedica alle relazioni con gli altri, allo scendere in piazza a dire “basta!”. È la lentezza che ci salverà.
Quando gli chiedo cosa ha provato dinanzi alla malattia e se in tutti questi anni lo abbia mai preso lo sconforto e il desiderio di abbandonare tutto, Enzo mi guarda come se gli avessi appena detto di aver visto gli alieni. «Non posso, non possiamo, più tornare indietro – mi dice – perché non è solo la mia vita, ma quella di tutti noi. E so di non essere solo, perché nei miei lunghi viaggi per l’Italia ho incontrato tanti uomini e tante donne che re-esistono, che credono nella possibilità di un mondo migliore». E aggiunge: «Nessuno ha mai detto che sia facile re-esistere, ma io dico che è possibile. Noi e tanti altri fratelli sparsi nel mondo ne siamo la testimonianza. Ci vuole solo coraggio. D’altronde, abbiamo alternative?». Gli occhi di Enzo sono di nuovo forti e umidi, le sue parole rimangono sospese nel silenzio di una serata umida della periferia napoletana. Ci guardiamo negli occhi senza parlare. Poi suoi nostri volti si scioglie un sorriso e non possiamo fare altro che abbracciarci.

di Ornella Esposito