ROMA – In Italia è stata approvata la prima legge nazionale sull’autismo, dopo anni di attesa. Una notizia positiva, sicuramente un passo avanti. Tuttavia le ombre restano molte ed esperti, associazioni di volontariato e genitori di figli autistici non stanno lesinando, in queste ore, critiche e commenti. La legge, infatti, non ha un budget dedicato ma promuoverà inclusione sociale, omogeneità di diagnosi e terapia nei confronti delle persone affette da disturbi dello spettro autistico. Prevede anche l’inserimento della malattia nei livelli essenziali di assistenza e l’aggiornamento triennale delle linee guida per prevenzione, diagnosi e cura, oltre a maggior impegno nella ricerca sul tema. Fin qui tutto bene, tanto che lo stesso ministro della Salute Beatrice Lorenzin, commenta “è il frutto di un complesso lavoro collettivo, svolto insieme ai rappresentati della comunità scientifica e delle associazioni e delle famiglie”. Ma, per esempio, Maria Teresa Bellucci, Presidente Nazionale del MODAVI Onlus, specifica su Twitter: “Approvazione legge su autismo è una tappa storica, ma senza un esplicito riconoscimento della disabilità resta una legge monca”. E Gianluca Nicoletti, giornalista de Il Sole 24 Ore e papà di un ragazzo autistico (diventato negli anni testimonial di battaglie per il riconoscimento di maggiore diritti agli autistici) scrive su La Stampa: “I genitori si sentiranno forse confortati perché finalmente c’è una legge che riconosce l’esistenza degli autistici, va bene, purché non si tratti di un’edizione speciale del solito format che si ripete ogni 2 aprile per la nostra giornata mondiale. A noi in concreto non cambia nulla se si accendono di blu i palazzi del potere, si fanno discorsi, si organizzano passerelle. Il giorno dopo abbiamo sempre continuato a inventarci tappabuchi, con interlocutori spesso ignoranti, palese espressione di un paese ancora molto ignorante sull’autismo. Spero che almeno sulla scia emotiva della legge si possano attivare cambiamenti concreti nella vita delle persone autistiche; non vorrei più vedere famiglie in continua transumanza verso i pochi centri d’eccellenza, per postulare una diagnosi seria, un’indicazione su percorsi abilitativi efficaci, per alleggerirsi un po’ della gestione h24 di un gigante irrequieto che nessuno vuole più prendersi in carico, perché troppo cresciuto per essere ancora chiamato «bambino autistico» e quindi fantasma a tutti gli effetti”.

di Francesco Gravetti

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