fratelli_tavianiROMA – “L’arte in un luogo come questo, di colpa e di pena scioglie dei nodi dolorosi, ma può portare a momenti di armonia e felicità. Questa giornata è stata così importante che adesso preferirei stare in silenzio”. Parla con gli occhi lucidi Vittorio Taviani, regista insieme al fratello Paolo, di “Cesare deve Morire”. Si commuove davanti a quella targa che da oggi è esposta di fronte al teatro del carcere di Rebibbia: lì, quasi tre anni fa i detenuti, diretti dai due maestri del cinema italiano e dal regista teatrale Fabio Cavalli, si avvicinarono a Shakespeare per una pellicola che avrebbe conquistato l’Orso d’Oro al festival di Berlino 2012.
LE DICHIARAZIONI – “Davanti a questa targa abbiamo avuto uno degli incontri più importanti della nostra vita, quello con i carcerati di Rebibbia – racconta Paolo Taviani – Esporla qui è importante soprattutto per quei detenuti che vorranno continuare a fare teatro: diranno << Be’ allora serve fare questo mestiere, conoscere l’arte e fare l’arte>>.

LE TESTIMONIANZE – Arte e dignità, si legge sulla targa. Ed è quello che hanno imparato davvero i detenuti di questo progetto che, emozionati, tirano il lenzuolo a scoprire la lastra di marmo; come Antonio, che fa parte della compagnia teatrale del carcere da sette anni e che in carcere dovrà restare altri tredici anni. “All’inizio si fa per gioco, ma poi si viene rapiti dal teatro. L’attività in carcere dà dignità alla persona, gli dà la possibilità di cambiare … poi tocca a te decidere se cogliere o meno questa opportunità”.
O come Francesco che non sapeva di essere in grado di recitare e adesso dichiara di guardare il mondo con occhi diversi: “Il teatro è come una bella donna, più la conosci e più vuoi starle vicino”. Francesco deve scontare ancora molto tempo in carcere; ad oggi dovrà uscire nel 2025, e questa passione, scoperta con due dei più grandi registi del cinema italiano, gli permette di andare avanti.
“Questa targa ci ricorda un progetto di cui l’amministrazione penitenziaria è orgogliosa – racconta Giovanni Tamburino, presidente del Dap, il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria – cioè il fatto che dentro il carcere ci sia stato un teatro che ha preparato dei veri attori, riconosciuti come tali da due maestri del cinema, i fratelli Taviani. Ma soprattutto ci ricorda che qualunque cosa la persona abbia fatto può ritrovare la sua dignità, purchè lo voglia: arte, dignità e speranza”.

di Alice Martinelli 

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