foto granfondo26.9.2013 043BARI – “Il trapianto è vita”. È il messaggio che, riportato anche sulle loro magliette, viene diffuso da ciclisti speciali: sono i protagonisti del Tour del Granfondo Nazionale dei Trapiantati organizzato dall’Associazione Amici del Trapianto di Fegato, in collaborazione con l’Ospedale di Bergamo.
Ogni anno una carovana di ciclisti che hanno subito un trapianto percorre in bici una zona d’Italia: l’edizione 2013 è dedicata alla Puglia. La presentazione si è tenuta a Bari in presenza della commissione consiliare Cultura e Sport del Comune di Bari, rappresentata dal vice presidente Filippo Melchiorre, dell’Aido (Associazione italiana per la donazione degli organi), presieduta in Puglia da Vito Scarola.
I RACCONTI – Tanta vita pulsa tra quei ciclisti che lanciano un messaggio di solidarietà importante.
Andrea Montalbano da sei mesi ha subito un doppio trapianto, al rene e al pancreas. Sin da ragazzo è un appassionata di bici e continua ad esserlo con orgoglio. Ha 65 anni e si racconta con tanta commozione. Parla di chi ha salvato la vita a lui e ad altre sei persone, perché ha donato tutti gli organi. Andrea si interrompe, ha il nodo alla gola e ricordando il donatore dice: «Mi emoziono, ancora penso a lui, perché viviamo in due».
C’è anche la signora Luisa. La sua vicenda comincia all’età di 6 anni, quando dal dentista contrae un’epatite che quarant’anni fa non riuscivano a distinguere e poi negli anni è stata identificata come D (Delta). «Mi curarono per qualche mese in ospedale – racconta. La malattia è rimasta spenta per vent’anni. Il virus non lavorava, ma il mio fegato è diventato cirrotico. In un periodo di forte stress quello stesso virus si è risvegliato. L’unica soluzione era il trapianto di fegato. Ventiquattro anni fa ero solo la numero 167 nel centro trapiantati di Milano. Sono stata in lista di attesa per un anno e mezzo. Poi una notte ecco arrivare la telefonata che aspettavo. Sedici ore di operazione e dieci giorni di rianimazione. Dopo tre mesi ho ripreso persino a scalare le montagne. Purtroppo di lì a poco avrei avuto il rigetto, per cui ho dovuto subire un secondo trapianto. Ma finalmente è arrivata la rinascita. Ho ripreso a fare qualsiasi attività, anche più di prima, tra cui quella di andare in bici. Ero destinata a morire. Invece, oggi sono qui ed ho 50 anni».
SCOPO DEL TOUR – L’immaginario collettivo pensa ad un parente in coma e allo spettro di chi possa accelerare la sua morte se si autorizza la donazione.
Il commendatore Scarola spiega invece che «quando ci si appresta al prelievo il soggetto non è in coma, ma è morto cerebralmente.
C’è un equipe medica formata da un neurologo, un medico legale e un anestesista che lo accerta in un percorso di sei ore.
I parenti restano dubbiosi sull’autorizzare un prelievo perché il loro congiunto in quei momenti, pur essendo deceduto, viene collegato a delle macchine che fanno respirare i polmoni, circolare il sangue, battere il cuore. Ma in realtà quella è una situazione artificiale che in base alla Legge 91/1999 può durare non più di sei ore. Quando le macchine vengono spente i percorsi sono due, la sepoltura o la sala operatoria per il prelievo degli organi».
Compito dei ciclisti è, dunque, sensibilizzare. Per questo visiteranno enti pubblici, ospedali, scuole e istituti di ricerca per portare il loro messaggio sulla donazione degli organi che consente ai trapiantati il ritorno a una vita normale, oltre a prestazioni sportive. La prima tappa è stato il Convitto Cirillo di Bari, unico complesso scolastico in Puglia in cui è stato aperto il primo sportello informativo per le donazioni. Importante è diffondere la comunicazione che per avviare le donazioni bisogna sottoscrivere una dichiarazione di volontà a donare gli organi, che si può rilasciare in qualsiasi Asl oppure presso le sedi Aido.

di Mariangela Pollonio

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