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No alla pesca pirata: Greenpeace in campo

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ROMA.  La nave ammiraglia di Greenpeace, Rainbow Warrior, si trova alle Mauritius, da dove partirà presto alla volta delle Maldive, dopo due settimane trascorse in alto mare a ovest del continente africano e a sud del Madagascar a caccia di pescherecci che praticano pesca illegale o distruttiva: fino a ora sono state avvistate imbarcazioni  taiwanesi, giapponesi, spagnoli e panamensi. Il monitoraggio ha fatto seguito  a quello condotto nelle acque del Mozambico, insieme al ministero della pesca. Per mancanza di risorse il paese africano fa fatica a controllare i pescherecci stranieri che saccheggiano il mare per prelevare tonni o squali in via d’estinzione.«Abbiamo ispezionato diverse navi- racconta Giorgia Monti, responsabile della campagna mare-. Chi continua a non rispettare le leggi deve essere fermato, perché i nostri oceani forniscono cibo e lavoro a milioni di persone nel mondo».
LO SFRUTTAMENTO DEL MARE. In Italia si consumano oltre 140 mila tonnellate di tonno in scatola all’anno, e molto del tonno consumato viene importato proprio dall’Oceano Indiano. «Le scelte dei consumatori possono fare la differenza – spiega Monti. Greenpeace chiede alle grandi aziende del tonno in scatola di comprare solo tonno pescato in modo sostenibile ed equo, preferendo le piccole flotte dei paesi costieri dove i guadagni sono equamente distribuiti». Durante il monitoraggio congiunto del mare, condotto da Greenpeace e dalle autorità del Mozambico, è stata coperta un’area di 133.500 chilometri quadri: la minaccia principale è quella dei palangari con cui vengono catturati tonni alalunga e squali. «Questi ultimi vengono spesso ributtati in mare ancora vivi, una  volta che è stata tagliata loro la pinna- spiega Monti-. Le pinne vengono vendute a prezzi molto alti sul mercato asiatico, fino a 740 dollari al chilo. E ogni anno si stima che vengano uccisi tra 26 e 73 milioni di squali per venderne le pinne». Il tonno è vittima così dell’eccessivo sfruttamento mentre molte specie di squalo sono minacciate d’estinzione. Nell’Oceano Indiano i pescherecci sono migliaia. La maggior parte proviene da flotte di paesi lontani che, dopo aver pescato tutto ciò che potevano nelle proprie acque – si stima che negli ultimi 50 anni la biomassa di specie come tonni o squali si sia ridotta di circa il 90% – si dirigono qui in cerca dell’ultimo pesce, depredando risorse fondamentali per la sopravvivenza di stati costieri poveri come il Mozambico o il Madagascar.

di Davide Domella

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