«Luigi era lì, era cosciente, capiva, parlava e ha compreso. Ha compreso che la sua vita era in pericolo e che non avrebbe più potuto vedere i suoi cari, dire loro quanto gli voleva bene». Luigi è il protagonista (reale) della storia scritta da Maria Felicia Di Corcia, tratta da “Racconti di cura che curano” (a cura di R. Silvia Fortunato) – antologia sanitaria di infermieri da tutta Italia ai tempi del Coronavirus. Una raccolta di vita vissuta che, tra le tante, vede quella di operatori sanitari napoletani come Maria, infermiera al Cto. Un’iniziativa che ha uno scopo benefico: il ricavato della vendita dell’e-book edito da Clown Bianco andrà a sostegno del progetto #Noiconglininfermieri della Fnopi (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche). Racconti che sono il frutto dell’esperienza quotidiana vissuta da chi vive in prima linea il dramma dei pazienti ammalati di Coronavirus, molti dei quali spesso non fanno più ritorno a casa dopo i giorni trascorsi a lottare tra la vita e la morte in terapia intensiva. Ecco allora il “diario” intimo, emozionale e riflessivo dei tanti infermieri che, da un capo all’altro dell’Italia, spesso sono gli unici legami dei pazienti Covid con il mondo esterno. Come si evince nel racconto di Maria Felicia: «20 cc di Propofol. Nel nostro gergo quantifichiamo così le dosi da somministrare poco prima di intubare un paziente. 20 cc di Propofol e 10 cc di Rocuronio – scrive l’autrice, in forza all’ospedale Cto di Napoli che fa parte dell’azienda ospedaliera dei Colli – Questi sono gli  ultimi numeri che ha sentito Luigi oggi prima di andare in coma farmacologico». E a dare una speranza a Luigi e a quelli come lui, che si vedono stravolta la vita da un giorno all’altro, ci sono quelli come Maria e altri suoi colleghi, riconoscibili solo dagli occhi: «Così ha guardato gli occhi delle persone intorno a lui in quel momento, occhi che non conosceva, occhi senza un volto perché coperto da mascherine e ha chiesto loro di dire ai suoi figli quanto gli voleva bene e a sua sorella di lasciar perdere la questione del terrazzo, che non era più importante». Poi il racconto prosegue con un invito a cogliere la vera essenza della vita per tutti noi: «Allora per un attimo il tempo sembra fermarsi e senti solo i battiti del cuore scanditi dai “bip bip” del monitor. Luigi ha compreso tutto, ha capito che lo stavamo facendo solo per il suo bene e ci ha ringraziato, sì ci ha ringraziato subito prima che i 20 cc di Propofol gli facessero chiudere gli occhi».

di Giuliana Covella