Esporre un proprio disagio interiore trovando punti di contatto con chi, seppur per motivazioni diverse, vive una sofferenza psicologica, psichica o esistenziale simile. Un gruppo di supporto orizzontale, in cui l’unica medicina prescritta è la condivisione. È la Cura Comunitaria, esperienza mutuata dal Sudamerica introdotta vent’anni fa dal dottor Adalberto Barreto, che dallo scorso settembre viene riproposta anche a Santa Fede Liberata, lo spazio con sede a San Giovanni Maggiore Pignatelli nel cuore del centro storico. Con cadenza mensile persone di ogni età residenti principalmente nel territorio del centro antico di Napoli si riuniscono formando un cerchio e, introdotte dai cosiddetti facilitatori, esprimono ciò che hanno dentro, anche e soprattutto le proprie negatività. «C’è chi ha problemi di vita gravi legati ad esempio alla difficoltà abitativa e lavorativa, persone senza tetto ed altri che hanno più privilegi ma altri difficoltà esistenziali e non materiali. Non mancano neppure casi di chi vive problematiche familiari e di isolamento. C’è anche tanto disagio psichico» spiega il dottor Silvio Canciello, che della Cura Comunitaria ha fatto parte prima come partecipante e poi come facilitatore. L’incontro si articola di solito in diverse fasi: il primo momento è quello dell’accoglienza. Il secondo è quello in cui si racconta agli altri un avvenimento piacevole successo, seguito dal momento centrale in cui ci si concentra su ciò che crea un disagio. Infine, sempre collegialmente, si sceglie un tema poi oggetto della discussione. Il dottor Canciello aggiunge: «L’esperienza di ciascuno ha un valore e la condivisione rafforza tutti a prescindere, ci si educa tutti insieme. Si mettono in gioco esperienze per trovare soluzioni materiali e condividere altro. Se la bocca non parla, lo fanno gli organi». In ogni caso, è opportuno sottolineare come la Cura Comunitaria non si sostituisce all’opera dei servizi medici e sociali: «Il paradigma è diverso» conclude Cerciello. Oltre a lui al presidio di Santa Fede Liberata s’alternano, medici, nutrizionisti, infermieri ma anche psicologi come Veronica Verzella, altra partecipante alla Cura Comunitaria con la quale dialoghiamo prima che l’incontro fissato nel pomeriggio di mercoledì 8 gennaio abbia inizio, al quale noi non possiamo assistere per rispetto a chi vive un disagio e lo racconta alla Cura Comunitaria. I partecipanti, sintetizza la psicologa, «finiscono l’incontro sempre con il sorriso e già questo è un risultato positivo. Tutti si sentono in compagnia in quanto percepiscono che qualcuno li sta ascoltando. La difficoltà sta proprio far ricadere la dinamica sul personale, senza creare botta e risposta».

di Antonio Sabbatino