Non bastano i soldi stanziati in difesa dei bambini nel mondo. Solo lo 0,5% dei finanziamenti umanitari destinati ai paesi colpiti dalle guerre e dalle crisi è destinato ad attività di protezione dei bambini. Attività molteplici: comprendono la prevenzione della violenza, degli abusi, dello sfruttamento. Significa lottare contro il reclutamento dei minori nei gruppi in guerra e nelle forze armate, porre fine agli attacchi contro scuole e ospedali, riunire alle famiglie i bimbi che sono stati separati. I fondi messi in campo sono pochi. Servirebbero invece circa 800 dollari a bambino. Non è una grande cifra. Eppure non viene messa in campo.
I dati vengono dallo studio “Unprotected: Crisis in Humanitarian Funding for Child Protection”, realizzato da Save the Children per conto della Alliance for Child Protection in Humanitarian Action e la Child Protection Area of Responsibility. Il rapporto analizza il totale dei finanziamenti umanitari globali assegnati tra il 2010 e il 2018 per la protezione dei bambini, con un focus su 13 paesi colpiti da conflitti, tra cui Siria, Yemen, Iraq e Afghanistan.
Solo lo 0,5% del totale dei finanziamenti umanitari è destinato alle attività di protezione dei minori. I finanziamento umanitario complessivo in realtà è aumentato nell’ultimo decennio e lo è anche quello assegnato a interventi di protezione dell’infanzia ma «il bisogno di interventi di protezione dei più vulnerabili è aumentato ancora di più». In paesi come l’Afghanistan e la Repubblica Centrafricana, per esempio, nel 2018 è stato rispettivamente stanziato solo il 18% e il 25% dei fondi indispensabili per la protezione dei minori.
Il rapporto è stato diffuso in occasione della riunione dei leader mondiali a New York per il forum politico sullo sviluppo sostenibile.
«Questo rapporto – ha detto Gunvor Knag Fylkesnes, Direttore Advocacy per Save the Children Norvegia– è un tempestivo campanello d’allarme affinché i leader intraprendano azioni immediate per prevenire le violazioni dei diritti dei bambini e rispondano all’urgente necessità di protezione e altri bisogni come sostegno alla salute mentale e il supporto psicosociale, il ricongiungimento familiare, il recupero e il reinserimento».
Protezione in contesti di crisi e conflitto significa agire perché i bambini non vengano reclutati come soldati. Perché tornino in famiglia, se sono stati separati.
«In concreto, questo significa intervenire in molti modi come ad esempio prevenire il reclutamento e l’uso di bambini da parte di forze e gruppi armati, e il sostegno al reinserimento dei bambini nelle loro famiglie e comunità – ha spiegato Hani Mansourian dell’Alliance for Child Protection in Humanitarian Action – Inoltre, chiediamo la fine degli attacchi contro scuole e ospedali, fornendo servizi di sostegno psicologico e psicosociale di qualità, evitando la separazione familiare e favorendo il ricongiungimento dei bambini che sono stati separati dalle loro famiglie. Gli interventi includono anche la creazione di spazi sicuri per i bambini durante le emergenze e la gestione dei casi di minori più vulnerabili».
I finanziamenti per l’infanzia, dice ancora la ricerca, sono molto limitati. I costi variano certo a secondo delle attività e del contesto locale, ma non si possono certo definire insostenibili.
Cosa fare? La ricerca invita i donatori ad aumentare i fondi per la protezione dei minori dallo 0,5% ad almeno il 4% del totale dei finanziamenti umanitari per iniziare a colmare questa lacuna, e chiede agli operatori umanitari di dare priorità alle attività di protezione dei minori nelle loro richieste di finanziamento e negli appelli umanitari.
«Alla fine, la misura della nostra umanità si vede da come trattiamo i nostri figli, che sono i più vulnerabili – dice Knag Fylkesnes – Oggi, 1 bambino su 5 vive in contesti colpiti da conflitti e intraprendere un’azione congiunta e immediata per proteggerli dalle gravi violazioni dei loro diritti dipende da noi».

di Danila Navarra