Sofia. La bimba cieca che danza con il vento

Sofia e il Vento. 
Napoli, ferrovia Cumana, fermata Pianura. Scendo dal treno e cammino nel quartiere della periferia flegrea. Cuffie nelle orecchie e pensiero fisso: Sofia, 8 anni, balla nel buio. Arrivo a destinazione, “Passione Danza” dice il cartello affisso fuori la scuola, entro e in calzamaglia nera e maglietta rosa, al centro della sala, siede a terra Sofia, con la sua insegnante, Silvia De Michele, pronte per il riscaldamento. Sofia si presenta, mi tocca il viso e mi conosce. Torna in posizione, corpo a terra, mantiene il contatto con il parquet della sala e tiene il tempo per iniziare l’allenamento. Osservo l’impegno di Sofia a distendere la schiena e ad allungare il corpo come se volesse, simbolicamente, liberarsi di tutto il peso di chi, con le sue scelte, interrompe gli scenari dell’immaginario collettivo.
Gambe divaricate, scioglimento delle spalle, distensione del collo piede, si riscalda il corpo per prepararlo alla percezione di sé e degli altri che sono con lei. L’insegnante accende lo stereo, la musica parte e Sofia chiude gli occhi: si muove seguendo la coreografia così come l’ha disegnata nelle sue fantasie, non si segue allo specchio, non ha bisogno di guardarsi. Ricorda ogni singolo passo, conosce le direzioni e sa muoversi nello spazio assoluto del buio, ha memorizzato ogni movimento come se fosse una narrazione, prima interiorizzandola per poi esprimerla e darle forma attraverso il corpo.
«Maestra sento il vento!» esclama, mentre balla nel buio della sala.
Sofia danza e scopre se stessa, e le potenzialità del suo corpo che le permettono di orientarsi e coordinarsi nel buio, danzando. Trattiene il fiato per poi lasciarsi andare completamente a quel vento che il suo ballare genera. Segue il vento a tempo e si muove nella sala, sa dove inizia lo specchio e dove si trova la sbarra imparando, lezione dopo lezione, ad avere sempre più consapevolezza di sé e del suo corpo. Ad ogni passo che impara, si riscopre e si fortifica, si ostina a superare i suoi limiti, dimenticandosi della differenza. Segue la coreografia, chiude gli occhi e, insieme con la sua compagna d’allenamento Erika, mette alla prova ogni pietismo o buonismo che, finora, le permettevano di ballare solo (e sola) nella sua immaginazione.
Sofia stupisce quando danza nel buio, ogni senso si altera e diventa funzionale al movimento, all’espressione così come al danzare. Avvolta nel buio della sua cecità Sofia, insieme alla sua insegnante, trova il suo metodo per ballare: segue il respiro di chi si muove con lei, ascolta il corpo dell’altro e presta attenzione al suono sordo dei passi che si susseguono sul pavimento di legno, entra in relazione con lo spazio e chi è presente in esso creando, così, un luogo di comunicazione e produzione sensoriale ed emotiva.
Interrompe la lezione, «Maestra proviamo la coreografia di Firenze?», per rivivere ancora il ricordo dell’emozione provata al concorso internazionale di danza a cui ha partecipato, tenutosi a Firenze, “Expression”. L’insegnante si accorge subito delle capacità di Sofia. Decide di farle provare l’emozione del palcoscenico e del pubblico, sogno di ogni ballerina. Poco tempo per montare la coreografia e impararla e una sola serata per metterla in scena, per la prima volta. Il palcoscenico, uno spazio nuovo per lei, dove, forse, il buio non è stato quello di sempre. Ora, non lo percepisce più come privazione bensì, come spazio in cui riesce a esprimersi, emozionarsi e lasciar emozionare il vasto pubblico che, finita la coreografia, la tiene stretta nell’abbraccio di un lungo applauso. Sofia vuole condividere la sua esperienza da bimba-ballerina premiata, chiedendo di mettere in stereo la base della “coreografia di Firenze”. Chiude gli occhi, prende la mano di Erika, sua compagna di coreografia, e inizia a danzare nel buio. Balla, muove il suo corpo e si emoziona. Leggo nel suo volto lo sguardo di chi è concentrata, di chi non vuole sbagliare così da dimostrare che anche se cieca, può danzare. La musica finisce, butta giù l’ultimo respiro e resta immobile, immaginandosi il suono di ogni applauso futuro.
A 8 anni, Sofia, ogni sabato mattina entra in sala per perfezionare quell’arte che ha scelto per esprimersi, per sentirsi libera di seguire il vorticare del vento del suo corpo che danza e che colora di passione il buio .
 

Di Emanuela Rescigno