Anche quest’anno, il quartiere dell’area Nord di Napoli, Scampia, si è fatto palcoscenico del Carnevale sociale. Giunto alla sua 37° edizione, il Carnevale sociale, come ogni anno, supera le retoriche del decoro per diventare palcoscenico per chi vive la città e non solo per chi la visita o la osserva da uno schermo.
Una festa che da molti anni prova, almeno per un giorno, a ribaltare il tavolo del gioco in maniera creativa, attraverso i carri autocostruiti in funzione di critica sociale durante i laboratori organizzati dal GRIDAS , dall’associazione Chi Rom e chi no e da altre realtà impegnate quotidianamente nel riscatto dei propri territori.


Con il loro potenziale simbolico, i carri, muovono il corteo in festa che, energicamente si insinua in un quartiere troppo spesso abusato da narrazioni televisive e giornalistiche quasi esclusivamente concentrate sugli elementi negativi di uno spazio periferico e marginalizzato. Per un giorno, grazie alla musica e ai balli delle murgas coordinate dalla BandaBaleno Murga di Napoli e seguite dai SambaPrecario di Roma e dalla Kikafessa Fanfare della Francia, il lavoro quotidiano delle associazioni e dei gruppi autorganizzati si realizza in una vera e propria “presa” del territorio. Cubi di cemento e geometrie di ferro non ostacolano la produzione di socialiatà e comunità: il quartiere si colora, grazie alla capacità immaginifica di chi lo vive e la festa interrompe la funzionalità quotidiana dello spazio urbano invadendo e colorando le strade e i lotti del quartiere. A Scampia, il carnevale, diviene quasi una necessità perché, anche se per poco lo spazio della periferia si trasforma, diventa uno spazio vissuto attraverso le immagini e i simboli che l’accompagnano. L’esplosione di colori, suoni, individualità e ruoli predeterminati smaschera altri mondi possibili, mondi autocostruiti che, dal basso, puntano a rompere la territorializzazione della socialità e colorare un’edilizia popolare che ogni giorno ricorda la monocromatizazione della differenza. La tinta unita della periferia è sostituita dall’azione policromatica degli abitanti dando vita, così, ad un momento di liberazione ed espressione della marginalità.

Articolo e foto: © Emanuela Rescigno