NAPOLI – Per agire contro il riscaldamento globale non c’è più tempo da perdere: secondo il rapporto sul clima del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, pubblicato a ottobre, i prossimi dodici anni saranno cruciali per scongiurare un aumento della temperatura media globale di oltre 1,5 gradi, limite da non superare se si vuole evitare che milioni di persone soffrano le conseguenze della siccità, delle ondate di caldo e delle inondazioni lungo le aree costiere. Da Napoli è partito un think tank sui temi su cui gli scienziati hanno da tempo lanciato l’allarme, ma che sembrano non essere prioritari dell’agenda politica: lo scorso dicembre, i giornalisti Marco Merola – divulgatore scientifico con all’attivo collaborazioni con Geo, National Geographic, Focus – e Marcello Milone, insieme all’architetto territorialista Francesco Escalona, hanno fondato Clima.Obiettivo 30/50, il Comitato promotore per l’adattamento e il contrasto al cambiamento climatico, nato per sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sulle urgenze dettate dagli effetti dei mutamenti climatici, chiamando a raccolta climatologi, ricercatori, divulgatori, studenti, cittadini che abbiano a cuore lo stato di salute del Pianeta e le sorti delle generazioni future. «Il contrasto comprende le azioni che impediscono il superamento del grado e mezzo di riscaldamento entro il 2030 – spiega Escalona –. Tuttavia, mentre si faranno tali operazioni, la situazione evolverà e dovremo prepararci nei prossimi quindici anni a fenomeni ancora maggiori, attraverso l’adattamento». Per questo l’architetto ha presentato un’ipotesi di Piano del Verde per la Napoli del terzo millennio, che comprende sia la piantumazione di nuovi alberi – oltre a catturare la Co2, le chiome mitigano le conseguenze delle piogge torrenziali –, sia la gestione e manutenzione del verde già esistente.
Alla base di Clima.Obiettivo 30/50 – che si riunirà nuovamente la sera del 15 febbraio, con un talk show e la proiezione di un film al cinema Delle Palme – c’è la stessa filosofia che ha spinto Marco Merola e il collega Lorenzo Colantoni a lanciare Adaptation (www.adaptation.it, online entro febbraio), progetto giornalistico internazionale e transmediale che illustra come il mondo si stia adattando alle mutate condizioni di vita sulla Terra, mediante una sapiente gestione delle acque, interventi di urban (re)design, architettura del paesaggio, building with nature e altre tecnologie innovative. L’intento è fare constructive journalism, controbilanciando gli allarmi lanciati quotidianamente dai media e mostrando i casi di Paesi che stanno trovando soluzioni ingegnose per sopravvivere nel ‘nuovo mondo’, per far scattare l’emulazione nei territori a carburazione più lenta, tra cui l’Italia. «Non serve dire solo quali sono i problemi. A volte la gente vuol sentirsi dire se esistono soluzioni», sottolinea Merola. In Olanda, per esempio, dove le dighe hanno danneggiato l’ecosistema, viene praticato il mud motor, ‘motore di fango’, una tecnica di bulding with nature che prevede lo spostamento di grosse quantità di fango residue dai fondali portuali in zone costiere, per creare nuove aree vegetali in grado di contrastare l’avanzamento dell’acqua, senza innalzare le dighe e aggiungere altro cemento. «Quanto accaduto in Italia lo scorso autunno, con venti fortissimi, allagamenti, esondazioni, è uno scenario con cui dovremo fare i conti sempre più spesso. Si parla di emergenza clima, ma questi eventi purtroppo sono destinati a ripetersi molte volte e con grande frequenza – aggiunge il giornalista –. Adattarsi significa ridisegnare le città e far abituare le persone a convivere con gli effetti non ovviabili del cambiamento climatico. Naturalmente non bisogna perdere di vista la mitigazione, il contenimento della Co2 mandata nell’atmosfera, e sono necessarie politiche illuminate per arrivare al famoso 50% in meno di anidride carbonica immessa entro il 2030, che è l’obiettivo fissato a livello internazionale».

di Paola Ciaramella