ROMA – Le risorse del pianeta non sono infinite, gli scienziati hanno lanciato l’allarme da tempo. Occorre cambiare modello di sviluppo economico e abbracciarne uno più rispettoso dell’ambiente e dei diritti umani e sociali. La crescita dei paesi deve misurasi con la sua sostenibilità. Oggi si rendono indispensabili politiche in grado di costruirela resilienza necessaria per affrontare eventuali, possibili, shock.
Lei è tra i promotori del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Cosa ha mosso e cosa sta muovendo la vostra importante iniziativa?
«L’idea del Festival nasce alla fine del 2016 con l’intento di portare il tema dello sviluppo sostenibile tra la gente, al di là degli addetti ai lavori. Il successo dello scorso anno ci ha tanto incoraggiati da ribadire il nostro impegno anche nel 2018. In questa edizione gli eventi sono triplicati e coprono l’intero Paese, a testimonianza della bontà della nostra intuizione. Molte iniziative sono promosse dalle università o da gruppi studenteschi, ulteriore evidenza che questo tema tocca molto i giovani. Il Festival vuole lanciare un messaggio alla politica: date una risposta alla parte d’Italia già in cammino verso un nuovo modello di sviluppo».
A proposito della politica, a metà maggio è entrata in vigore la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Quali novità contiene rispetto alla precedente?
«La scelta fondamentale della nuova strategia è quella di adottare l’Agenda 2030, e quindi i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e i 169 sottobiettivi, come guida per tutte le politiche. È evidente, dunque, che non parliamo solo di una strategia ambientale, ma di una strategia in cui economia, ambiente, società, istituzioni operano insieme. Come ASviS siamo molto lieti che il Presidente del Consiglio Gentiloni, nel marzo scorso, abbia firmato una direttiva per trasferire il coordinamento delle politiche per l’Agenda 2030 dal Ministero dell’Ambientea Palazzo Chigi».
Tra le azioni che come ASviS avete proposto al mondo politico, c’è l’inserimento nella Carta Costituzionale del concetto di sviluppo sostenibile. Una vera e propria rivoluzione copernicana.
«Si, per due motivi. Il primo è che lo sviluppo sostenibile interseca il concetto della giustizia tra generazioni, che in questo modo diventerebbe un principio fondamentale e ineludibile del nostro sistema giuridico. Il secondo è che ne deriverebbe l’obbligo di valutare da un punto di vista costituzionale tante normative oggi non indirizzate verso lo sviluppo sostenibile».
Nel suo recentissimo libro “L’utopia sostenibile” (edizione Laterza) lei propone un modello di sviluppo intorno ad un diverso paradigma. Ci illustra quale?
«Va preso atto che il vecchio modello di sviluppo nono solo ci ha portato in condizioni di insostenibilità, ma anche che esso non è adeguato a fronteggiare un mondo sempre più soggetto a shock di natura economica, finanziaria, ambientale. Pertanto, le politiche vanno ripensate intorno a cinque parole-chiave: preparare, prevenire, proteggere, promuovere, trasformare così da stimolare la resilienza dei singoli, delle imprese e dei territori, delle società e renderle in grado, una volte soggette ad un shock di “rimbalzare in avanti”, non solo di difendersi da tutti gli eventi improvvisi e dirompenti».
A suo giudizio, l’Italia a che punto è sullo sviluppo sostenibile?
«Siamo indietro, sia sul piano delle politiche sia su quello culturale. Abbiamo bisogno dell’Europa per promuovere programmi di sviluppo sostenibile su scala sistemica: abbiamo, quindi, bisogno di un’Italia orientata in questa direzione all’interno dell’Unione Europea la quale, sua volta, deve consolidare la propria posizione di “campionessa mondiale” di sviluppo sostenibile. Ce la potremo fare nella misura in cui non penseremo più che basta elargire un po’di soldi alle persone per far ripartire l’economia e così risolvere tutti i problemi».

di Ornella Esposito

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