kunduNAPOLI –  I suoi genitori, quelli veri, sono a Dhaka, capitale del Bangladesh, bloccati dalla burocrazia e da un visto che tarda ad arrivare. I suoi nonni, quello che lo hanno praticamente adottato e lo proteggono in Italia, sono a San Gennaro Vesuviano e piangono ogni giorno pensando alla sua sorte. Perché lui da due mesi è ricoverato nell’ospedale di Aversa, in provincia di Caserta e lotta contro una grave forma di leucemia. Kundu Romeo ha 20 anni, è un bangladese arrivato in Italia tre anni fa e rischia di morire perché nessuno può donargli il midollo osseo. I medici hanno scritto all’ambasciata italiana di Dhaka e al Ministero degli Affari Esteri chiedendo esplicitamente l’arrivo in Italia dei genitori e del fratello di Romeo, tutti potenziali donatori. Una richiesta anomala quanto disperata: è l’unica possibilità per il ragazzo di salvarsi. Da luglio, però, la pratica non viene ancora evasa: «In Bangladesh dicono che i visti sono pronti, ma i genitori di Kundu non li possono ancora ritirare. È assurdo e inspiegabile», dice Giovanni De Pietro, sindacalista della Sia Confsal di Palma Campania che si sta interessando al caso.

LA STORIA – Sì perché Kundu Romeo, pur nella sventura, è stato fortunato a trovare un gruppo di persone che stanno cercando di aiutarlo. Due in particolare, hanno 70 anni, sono pensionati e lo hanno adottato. Lui li chiama nonni, loro lo amano come un figlio. Giuseppe Catapano e Annamaria Nunziata conobbero Kundu che era ancora minorenne: lo incontrarono lungo la strada che porta alla loro casa con due enormi bustoni in mano e lo ospitarono. Romeo chiese a Giuseppe di lavorare e il pensionato gli propose di pulire il giardino: nacque così un’amicizia profonda, condivisa non solo dai due anziani ma anche dai loro tre figli. Kundu Romeo divenne parte della famiglia e quando si ammalò tutti sprofondarono nello sconforto. In casa Catapano se li ricordano ancora quei giorni: prima una febbriciattola, poi i dolori, infine una inspiegabile spossatezza. Fecero il giro degli ospedali e incontrarono anche medici che si limitarono a prescrivergli una penicillina e a mandarlo a casa.  All’ospedale di Nola, per la prima volta, qualcuno ebbe l’idea di fare l’esame del sangue. Arrivò la diagnosi: leucemia. Poi il trasferimento ad Aversa e l’inizio delle cure. Da allora la famiglia Catapano vive un calvario: «Andiamo tutti i giorni ad Aversa, cerchiamo di stargli vicino. È davvero triste che un ventenne, venuto in Italia per migliorare la sua vita e quella dei suoi genitori in Bangladesh, debba trovarsi in queste condizioni di salute», dice Giuseppe. In questi giorni in ospedale il rapporto tra il ventenne ed i suoi anziani amici italiani si è ancora più cementato: «Non mi manca niente, mi seguono i miei nonni», disse ad un medico una volta. E quello stesso medico, quando vide i coniugi Catapano, non si chiese se davvero ci fosse un grado di parentela: comprese tutto l’amore che c’era tra i tre e spiegò loro la condizione clinica del bangladese. Ma adesso si tratta di fare una corsa contro il tempo: i giorni passano, la leucemia peggiora nonostante il ragazzo risponda bene alle cure. La situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro. Chi può salvare la vita a Kundu Romeo, però, sta lontano migliaia di chilometri, bloccato da qualche timbro che non arriva negli uffici dell’ambasciata italiana di Dhaka. «Viviamo momenti di autentica disperazione, ci sembra assurdo che sia così difficile fare arrivare tre persone in Italia per salvare una vita. I soldi non sono un problema, li abbiamo trovati. L’importante è che a Kundu venga effettuato il trapianto di midollo osseo. Bisogna fare presto», dicono i “nonni”.

di Francesco Gravetti

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