di Antonella Migliaccio
ROMA. Aweis vive a Mogadiscio. Una vita tranquilla, con moglie, tre figli e il quarto in arrivo. Come mestiere la gestione di due cinema insieme col fratello. Un’attività redditizia, la sera si arriva a riempire le sale fino a 1600 persone. In programmazione tante partite di calcio internazionali, comprese quelle della nazionale azzurra, ma anche i film di Hollywood e quelli di Bollywood.
IN AFRICA. Sono proprio questi i primi titoli a non piacere ad Al-Shabaab, i miliziani somali che dal 2006 entrano in città e iniziano a cambiare le regole. Divieto di giovare a calcio in pantaloncini corti. Divieto per le donne di uscire di casa se non accompagnate da mariti o fratelli. Per Aweis l’entrata di Al-Shabaab in città significa la proibizione di proiettare film nel suo cinema. Solo partite di calcio e, se non si obbedisce, si chiude. Da qui inizia il contatto di Aweis, commerciante dalla vita prima normale, con le milizie somale. Un’esclation di violenze che inizia solo col divieto di proiettare pellicole ma che presto passa per l’irruzione al cinema, con una sala piena e il bilancio di sette morti. Pochi giorni e le truppe tornano portando via proiettori e cassette. Il risultato è la chiusura della sala. Poi il passaggio a mille lavori d’occasione, come portare la spesa a casa a un colonnello ugandese. E proprio uno dei giorni in cui tornava dal mercato, viene avvicinato dalle milizie che gli ordinano di piazzare una bomba nell’area civile dell’aeroporto, esattamente dove il padre aveva lavorato una vita. Si rifiuta, ma il rifiuto è un momento senza ritorno.
IN ITALIA. “Nessuno sceglie di essere rifugiato” è lo slogan che l’UNHCR ha scelto per la Giornata mondiale del Rifugiato 2012, dove, nel corso dell’incontro a Roma, Aweis ha potuto raccontato la sua storia. Una storia simbolo, che parla per tutte le altre che non vengono raccontate. Come i 42,5 milioni di altri rifugiati al mondo, Aweis non ha scelto di fuggire dal proprio Paese, di separarsi dalla famiglia, di chiudere il suo cinema. Vittima di persecuzione, è un migrante forzato, con poca altra scelta se non di scappare. Oggi Aweis vive in Italia. La condizione di rifugiato politico gli è costata la lontananza per anni dalla moglie e dai figli. Gli è costata una fuga lunga un anno, mesi terribili di carcere, per poi approdare a Lampedusa e oggi a Roma, dove oggi è mediatore culturale alla ricerca di un lavoro stabile, come tutti.
 

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