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ROMA. Compie vent’anni la campagna contro le mine antiuomo. Oggi, infatti, è la giornata internazionale su questo tema, con gli organizzatori che, ogni anno, ripropongono agli occhi dell’opinione pubblica il dramma dell’uso di questi ordigni, cercando di sollecitare i paesi che ancora non l’hanno fatto (molti, putroppo) a sottoscrivere il Trattatato che li mette al bando.
EMERGENCY. In Italia, i sit-in e le manifestazioni sono state organizzate in quasi tutti i capoluoghi di provincia. Gli organizzatori invitano tutti a partecipare per dimostrare la consapevolezza dei danni provocati da queste “armi di distruzione di massa al rallentatore”. Così vengono definite perché, una volta sul terreno, continuano ad uccidere anche decenni dopo la fine delle ostilità. Il grande impegno internazionale di organizzazioni come Emergency, ci dimostra come questo problema sia lontano dall’essere risolto. Gino Strada, fondatore dell’ONG, in un suo intervento alla vigilia dell’incontro ad Ottawa, le definiva «come una deliberata scelta di infliggere sofferenze mostruose. Un crimine contro l’umanità.» Riflessione tutt’ora attuale.
BENEDETTO XVI. Anche il Papa, in occasione di questa ricorrenza, ha lanciato un appello contro le mine, lanciando il suo appello dopo l’udienza del mercoledì. Ad ascoltarlo in piazza San Pietro erano almeno 11mila persone. «Oggi ricorre la Giornata internazionale per la sensibilizzazione sul problema delle mine antipersona – ha detto Benedetto XVI – alle cui vittime, insieme alle loro famiglie, esprimo la mia vicinanza. Incoraggio tutti coloro che si impegnano per liberare l’umanità da questi terribili e subdoli ordigni i quali, come disse il Beato Giovanni Paolo II in occasione dell’entrata in vigore della Convenzione per il loro bando, impediscono agli uomini di camminare assieme sui sentieri della vita senza temere le insidie di distruzione e di morte».
PER SAPERNE DI PIU’:
http://www.emergency.it (Il sito italiano di Emergency)
APPROFONDIMENTI
Esistono numerosi tipi di mine anti-uomo. In media contengono circa 0,5 kg di esplosivo. Il “Mine Ban Treaty”, entrato in vigore il primo marzo del 1999, vieta l’utilizzo, la vendita e la produzione di mine antiuomo e prevede che i paesi firmatari si impegnino in 4 anni a distruggere il loro stock di mine ed a bonificare le area minate entro 10 km dalle loro frontiere. Alla data del 15 giugno 2000 è stato siglato da 133 paesi in tutto il mondo, ma non dagli USA, Russia, Cina e India. Le mine antiuomo hanno causato 5.197 morti lo scorso anno, un terzo dei quali bambini, stando alle stime diffuse dall’Icbl, organizzazione non governativa vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1997. Steve Goose, direttore dell’Arms Division of Human Rights Watch, ha fatto sapere che gli Stati Uniti, in ogni caso, si attengono di fatto alle regole del trattato, avendo smesso di usare le mine antiuomo dalla Guerra del Golfo del 1991, avendo smesso di esportarle dal 1992 e avendone sospeso la produzione dal 1997.

di Francesco Gravetti

IL REPORTAGE

Shama: a spasso nei campi di…mine

( Shama – Libano). Le distese di bananeti e alberi da frutta fanno di­menticare per un attimo la guerra lasciate alle spalle. La fertile terra libanese, nel suo ventre, custodisce ancora gli orrori del passato. I 34 giorni di conflitto del 2006 hanno lasciato sul terreno oltre 500mila ordigni inesplosi. Un arsenale disseminato soprattutto nella parte me­ridionale del Paese dove l’agricoltura è l’unico mezzo di sostentamen­to per molte famiglie. Secondo uno studio sugli effetti della guerra in Libano, effettuato dalla organizzazione Landmine Action, le perdite del settore agricolo, a causa delle bombe a grappolo, ammontano tra i 22 milioni e i 26 milioni di dollari perché con munizioni e ordigni disseminati non è possibile coltivare un campo.
LE VITTIME – Il rischio di saltare in aria è troppo elevato, come già è accaduto 272 volte, facendo re­gistrare 28 vittime. Secondo le Nazioni Unite, sono sessantacinque i chilometri quadrati di superficie che devono essere ancora bonificati. Mine antiuomo e anticarro, ordigni inesplosi e frammenti di “cluster” sono sul terreno. Attori libanesi e internazionali si dividono il lavoro per ripulire le aree identificate: quelle colpite dalle “cluster bombs” spettano alle organizzazioni non governative, ai caschi blu della mis­sione Unifil sono affidate le zone con mine antiuomo e anticarro. I maggiori interventi si concentrano a sud, lungo la Blue Line, pseudo-confine tra Libano e Israele, dove operano gli sminatori del 21esi­mo Reggimento Genio Guastatori di Caserta.
I GUASTATORI – Protetti da tute tanto pesanti da rallentare qualsiasi tipo di movimento, si alternano su un fazzoletto di terra nella zona di El Bustan alla ricerca di mine antiu­omo e anticarro. Qualche ordigno risalirebbe alla fine degli anni ’70. «Le mappe del campo minato sono state fornite dagli israeliani alle Nazione Unite – spiega il capitano Emanuele Amicarella, impegnato nelle operazioni di sminamento all’interno della missione Unifil – ma le condizioni atmosferiche, i movimenti della terra possono modifi­care queste coordinate». Una eventualità da non trascurare. Una mina potrebbe essere stata segnata sulla carta, ma non ritrovata sul terreno. È un dispositivo fantasma, marcato dai militari con un paletto con un cappuccio bianco alto poco meno di un metro e con­ficcato nel terreno. Sembra un gioco da ragazzi, dove tutto è calcolato, anche se non sono ammesse sbavature perché si rischia di saltare in aria, come è accaduto ai cinquantasette sminatori che hanno avuto incidenti sul campo. I team si muovono con lentezza, spostandosi ogni giorno di un metro più in là. Per bonificare questo fazzoletto ci vorrà ancora tempo. Anni.

di Stefania Melucci

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