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Quando i ragazzi disabili vanno a vivere da soli. Prove di autonomia tra cohousing e appartamenti in condivisione

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ROMA – Esperienze di quotidianità senza mamma e papà: bisogna imparare a prendersi cura di sé, a fare la spesa e la lavatrice, a cucinare, pulire e riordinare casa, meglio con l’aiuto di un educatore se si ha una disabilità intellettiva o di un assistente personale se si ha una disabilità fisica grave. Dal cohousing ai gruppi appartamento fino ai condomini solidali, sono tante le storie e i progetti di distacco familiare in Italia. Prova a censirle l’inchiesta “Mamma vado a vivere da solo (o con gli amici)” del numero di agosto del Magazine SuperAbile-Inail.
A Sinalunga (in provincia di Siena) grazie a “I luoghi dell’habitare”, un’iniziativa da otto posti letto realizzata da Asp “Istituto Maria Redditi”, cooperativa sociale Koinè e Istituto di riabilitazione “Madre della Divina Provvidenza” di Arezzo. In Toscana sono cinque le fondazioni che si occupano di “Vai housing”, i progetti per la vita adulta indipendente promossi dalla Regione attraverso le Società della salute dell’Azienda Usl: sono Nuovi giorni e Polis nel fiorentino, Futura dopo di noi a Siena, Il Sole a Grosseto, Dopo di noi nel circondario empolese Valdelsa e Valdarno. Ma esistono altre realtà ancora ben più avviate, come per esempio i progetti di residenzialità della Fondazione italiana verso il futuro di Roma che, con le sue sei case (la prima inaugurata nel lontano 1998), chiamano in causa non solo il tema del crescere ma anche quello dell’invecchiare. “Casa Primula”, infatti, precursore di molte esperienze italiane, attualmente accoglie cinque donne adulte, tra i 45 e i 65 anni, quattro con la sindrome di Down e una con disabilità intellettiva, tutte ospitate nell’appartamento di proprietà di una di queste. Da qualche anno, poi, perfino le singole famiglie si stanno organizzando, grazie al vincolo di destinazione dei beni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela previsto dall’articolo 2645-ter del Codice civile e citato pure nella nuova legge sul dopo di noi. Proprio in merito a questo tema, infatti, l’Istat ha recentemente stimato che nel nostro Paese ci sono circa 540 mila disabili gravi sotto i 65 anni, il che significa che potrebbero sopravvivere ai propri cari. Tanto vale iniziare a pensarci ora.
Coinquilini con un cromosoma in più. Caterina, Alessandro, Leonardo, Elisa, Giorgia, Christian, Mirko e i due Luca: ecco i protagonisti della web-serie “La squadra di Nicola”. Le riprese, per la regia di Antonio Saracino e con la collaborazione dei giornalisti Emilio Marrese (La Repubblica) e Riccardo Cucchi (Rai), sono state effettuate all’interno di “Casa Fuoricasa”, uno dei sei appartamenti della Fondazione Dopo di noi Bologna dove i ragazzi con trisomia 21 imparano ad abitare con altri coetanei. C’è anche una coppia di fidanzati, Simona e Matteo, che convive stabilmente da due anni e mezzo nella casa di proprietà della famiglia di lei. “ L’idea che portiamo avanti non è solo quella della residenzialità: – commenta Luca Marchi, direttore della Fondazione Dopo di noi –. quello che sosteniamo con forza sono veri e propri progetti di vita, perché il tema non è tanto l’invecchiamento dei genitori delle persone disabili quanto piuttosto il loro diritto all’autodeterminazione, il piacere di sentirsi autonomi. E anche il costo per la collettività, ossia quello a carico del sistema sanitario nazionale, è molto minore”. La Fondazione ha elaborato anche il progetto “Junior House”: una palestra di indipendenza per gli adolescenti (o poco più) realizzata insieme alle associazioni bolognesi Ceps e Grd onlus, “convinti che non sia mai troppo presto per iniziare a cavarsela da soli, fare acquisti, gestire il denaro o ordinare una pizza da asporto”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la cooperativa Vite vere Down Dadi di Padova, che lavora sull’autonomia abitativa dei più giovani a partire dai dodici anni in su. Un ricettario semplificato per cucinare bene, telecamere accese le prime volte che i più piccoli sperimentano il vivere senza mamma e papà, imparare a raggiungere la piscina o il posto di lavoro da soli: ecco l’essenza di “Casa Vela” e “Casa Ponte”, sede rispettivamente dei progetti “Navigando” e “Mettiamo su casa”. Percorsi graduali, in cui aumentano le ore lontano dalla famiglia e diminuisce la presenza dell’educatore, il cui valore sta nella continuità. Attualmente Vite vere Dadi vede coinvolti nei suoi progetti di autonomia abitativa autofinanziati 75 ragazzi Down del padovano, a rotazione, suddivisi in piccoli gruppi. Segno che c’è molta richiesta, “anche da parte delle famiglie dei giovani con disabilità intellettiva, tanto che ci stiamo attrezzando ad allestire un nuovo spazio”.

da Redattore Sociale

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