Sono passati solo 58 anni da quel martedì di inizio luglio del 1963, quando l’Accademia Svedese delle Scienze di Stoccolma premiò il lavoro dell’italiano Giulio Natta con il prestigioso Nobel per la chimica. Insieme a Karl Ziegler, è stato l’inventore di quel materiale plastico che ha contribuito alla nascita del “Boom economico italiano”, il Polipropilene isotattico, più conosciuto con il nome commerciale di Moplen. Finalmente era disponibile un materiale pratico ed economico che rendeva accessibile a tutti una vastissima quantità di oggetti; e così dall’inizio degli anni ’60, il Mondo si trova a sperimentare la prima invasione delle plastiche. L’economicità e la duttilità dei nuovi prodotti rivoluziona ogni aspetto del quotidiano: le case si trasformano, così le città. I consumi crescono e di conseguenza la produttività; nuove fabbriche si aprono e nuovi lavoratori vengono assunti. Il benessere della classe media cresce insieme al potere d’acquisto. I nuovi manufatti vengono percepiti come simbolo di modernità e prosperità, il primo grande passo verso la democratizzazione dei consumi.

“E mò.. e mò… Moplen!”, recitava una famosa reclame di Carosello. La nascente comunicazione televisiva contribuisce a generare nuovi bisogni e nuove aspettative, si andava delineando un nuovo status simbol, chiaro e definito: l’uomo moderno che tutto può. Una rivoluzione di tale portata e tale beneficio per tutti da rendere impossibile metterne in dubbio gli aspetti negativi, una rivoluzione che contribuirà a cambiare le dinamiche, le abitudini, finanche l’estetica del Mondo.

La plastica, che costituisce oggi il terzo materiale creato dall’uomo più diffuso sulla Terra dopo l’acciaio e il cemento, risulta comunque un materiale imprescindibile per molti aspetti della nostra vita e per la stessa nostra evoluzione; per questo sarebbe un grave errore demonizzarlo a priori. Solo grazie ad esso, l’uomo ha potuto varcare soglie tecnologicamente inaccessibili prima, nei campi più disparati, dalla medicina, dove contribuisce a salvare vite ogni giorno, all’esplorazione spaziale. Tutto questo grazie proprio alle sue proprietà che lo rendono, nel loro complesso, un materiale unico: durevolezza, leggerezza, malleabilità ed economicità. La rivoluzione tecnologica, con l’avvento dei computer e dei telefonini, deve la sua esplosione all’impiego della plastica, e il suo utilizzo nella costruzione di automobili, navi e aerei ha permesso una notevole riduzione dei consumi nei trasporti. Il suo uso in edilizia consente un significativo risparmio energetico, grazie alle sue caratteristiche isolanti: questi materiali fanno risparmiare fino a 200 volte l’energia impiegata per produrli.

Oggi si è arrivati alla creazione di plastiche auto-rigeneranti, materiali complessi in grado di ripararsi in modo autonomo. Scoperte come questa possono aprire sempre nuovi orizzonti alla scienza e alla tecnica. Allo stesso tempo, uno dei suoi maggiori pregi, l’economicità, ha fatto sì che la plastica fosse anche ampiamente impiegata per scopi lontani dalle sue caratteristiche intrinseche, più adatta a specifici e più nobili manufatti che all’utilizzo usa e getta. Così, dagli anni ’50 ad oggi, in preda a vorticosi istinti consumistici, ne abbiamo fatto un uso indiscriminato e spesso errato. Abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, disperdendone circa 6,3 miliardi nell’ambiente, di cui solo il 9% è stato riciclato. L’uso improprio e la produzione indiscriminata di questi materiali si sono rivelati insostenibili per l’ecosistema; basti pensare che il 40% della produzione di plastica e il 60% di tutti i rifiuti di plastica prodotti in Europa è rappresentato da imballaggi ed oggetti monouso. Di conseguenza, in meno di un anno, la metà della plastica prodotta è già diventata rifiuto, di cui solo una piccola parte avrà una seconda vita. Questo accade anche perché il processo di produzione segue ancora un modello di economia lineare, cosa che non seguono molti altri materiali riciclabili, e questo fenomeno può essere spiegato sempre dalla sua economicità, che rende poco vantaggioso il suo riutilizzo in confronto alla materia prima da cui è prodotto, il petrolio. Ogni anno, il 4% della produzione globale di petrolio è utilizzato per la plastica, che nell’intero ciclo di vita, dalla produzione all’incenerimento, si stima generi 400 milioni di tonnellate di CO2. Davanti all’evidenza dei numeri, la Commissione Europea si è posta l’obiettivo di aumentare la percentuale di imballaggi di plastica riciclata del 55% entro il 2030, dopo aver già approvato nel 2018 la Direttiva sulle plastiche monouso (SUP), che mette al bando una parte dei prodotti destinati ad avere vita breve prima di diventare rifiuto. Stiamo già sperimentando gli effetti della normativa che, dal 3 luglio scorso, vieta quei prodotti monouso dei quali già esiste un’alternativa sostenibile (piatti, posate, cannucce, cotton fioc, contenitori per cibo da asporto in poliestere espanso, mescolatori per bevande e aste per palloncini). Analizzando quegli stessi numeri, si può capire che le limitazioni all’utilizzo dei prodotti “sostituibili” non saranno sufficienti a calmierare la produzione di rifiuti plastici, e che non è possibile, in ogni modo, attendere letargicamente i tempi della politica, stretta tra difficili equilibri economici e visione a corto raggio. Le infinite possibilità che l’evoluzione tecnologica ha dato alle persone non possono finire per recarle danno, è necessario per questo accrescere ed incentivare un senso etico e critico nei confronti del consumo quotidiano. L’attenzione crescente al tema e le ormai evidenti conseguenze dell’inquinamento causato dalle plastiche e dalle microplastiche in tutto il Mondo, stanno dando principio ad una coscienza ecologica comune che inizia ad espandersi a macchia di leopardo tra la popolazione occidentale, costringendo i produttori a porre sempre maggiore attenzione al loro impatto sull’ambiente. Rimane il fatto che la produzione rispecchia inevitabilmente la domanda, potremmo definirlo concorso di colpa? Se non si è in grado di valutare l’impatto personale delle nostre scelte di consumo, col fine di limitale o almeno indirizzarle a favore di alternative più sostenibili, si dovrà attendere solo l’esaurimento della materia prima da cui ha principio la plastica, il petrolio. Quello, giocoforza, Quando la scelta lascerà il campo all’obbligo, allora sì, quello sarà il momento in cui capiremo l’importanza di riciclare per bene.

 

di Valerio Orfeo

 

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