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Collaborare per creare valore: pubblico e terzo settore per comunità resilienti IL COMMENTO

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C’è un principio semplice, ma spesso trascurato, che dovrebbe guidare ogni intervento sui territori: non si può costruire nulla di duraturo senza partire dalle persone. Le comunità non sono contenitori vuoti da riempire con soluzioni preconfezionate, ma ecosistemi vivi, fatti di relazioni, bisogni, aspirazioni, risorse e fragilità. In questo contesto, la Pubblica Amministrazione deve assumersi la responsabilità, nel senso che Aldo Masullo dava a questa parola, ovvero la capacità di offrire risposte. Per assumere decisioni responsabili verso le comunità, la collaborazione tra Pubblica Amministrazione e Terzo Settore non è solo auspicabile: è necessaria. È la chiave per generare valore, per alimentare dinamiche virtuose di crescita sociale, per rafforzare quei legami invisibili che tengono insieme il tessuto civile e lo rendono più resistente alle trasformazioni e alle crisi.

In un’epoca segnata da cambiamenti sempre più rapidi e imprevedibili – ambientali, economici, sociali –Jeremy Rifkin ci ricorda che siamo entrati nell’età della resilienza. Non è più sufficiente crescere a ogni costo. Dobbiamo imparare a resistere, adattarci, riorientare le nostre priorità. In questa prospettiva, la resilienza non è passività, ma intelligenza collettiva che si manifesta nella cooperazione tra istituzioni e cittadini, tra amministratori e organizzazioni civiche, tra visioni strategiche e ascolto del quotidiano.

Il Terzo Settore è un alleato fondamentale, perché è radicato nei territori, ne conosce le pieghe più profonde, si muove spesso in prossimità delle fragilità. Le organizzazioni della società civile intercettano bisogni prima ancora che diventino emergenze, mobilitano risorse umane, generano innovazione sociale, coltivano fiducia. E la fiducia è ciò che permette alle comunità di affrontare anche le tempeste più dure. Il punto centrale non è se il Terzo Settore debba essere coinvolto, ma come. Sui nostri territori non mancano esempi virtuosi di collaborazione.

Uno splendido esempio (e ce ne sono tanti, per fortuna!) è il progetto ‘La mia banda è pop’ di cui è capofila l’associazione Chi rom e… chi no con sede a Scampia Napoli, e con numerosi partner distribuiti sul territorio della Regione Campania, tra cui  la cooperativa L’Orsa Maggiore (Napoli); l’associazione Fhenix (Avellino); il Comitato Città Viva (Caserta); alcuni istituti scolastici, il Ministero della Giustizia Minorile con gli Uffici Servizio Sociale Minori di Napoli e Salerno e l’Università degli Studi di Napoli Federico II – Dipartimento di Scienze Sociali che cura il monitoraggio. Una meravigliosa iniziativa per i bambini e ragazzi di zone disagiate per fare laboratori di teatro, essere coinvolti in azioni di rigenerazione e cura dello spazio pubblico, creare percorsi di formazione e tirocini di lavoro. Un’idea che si è fatta concretezza, un’esperienza di successo di partecipazione attiva.

Perché queste iniziative si moltiplichino serve un cambio di paradigma: dalla progettazione calata dall’alto, di una Pubblica Amministrazione talvolta autoreferenziale, alla co-progettazione partecipata tra Pubbliche Amministrazioni e ETS; dalla gestione per compartimenti alla co-produzione di soluzioni integrate per generare valore, quello vero, che non si misura solo con indicatori, ma garantisce la crescita del capitale sociale, di territori più coesi.

L’alleanza tra pubblico e Terzo Settore non è solo uno strumento tecnico: è un atto politico, una scelta di campo. Significa riconoscere che la crescita non può essere solo economica, che l’innovazione non è solo tecnologica, che il cambiamento passa anche – e forse soprattutto – dalla cura delle relazioni e dalla forza dei legami sociali, per la costruzione di territori resilienti.

 

 di Francesca Manes Rossi

 

Professoressa ordinaria di Economia Aziendale – Università di Napoli Federico II – Dipartimento di Economia, Management, Istituzioni

 

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