Dare risposte secondo una prospettiva  allargata alla creazione di valore e valori, forse questa potrebbe essere una definizione accettabile del concetto di responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni. In un suo illuminante intervento ad un seminario universitario sul tema, l’indimenticabile filosofo Aldo Masullo ci ricordava che il termine responsabilità implica il saper dare delle risposte; aggiungere l’aggettivo sociale significa saper rispondere a bisogni della collettività e del territorio, secondo una logica sistemica che coinvolga gli attori sociali ed i portatori di interesse. Oggi l’approccio alla responsabilità sociale viene assorbito dal termine sostenibilità, che, se correttamente declinato, considera inscindibilmente le dimensioni economica, sociale ed ambientale dell’azione di imprese ed organizzazioni operanti sul territorio. 
Già tantissimi anni fa, riferendosi al fine di un’impresa, Adriano Olivetti si poneva il quesito se il profitto potesse essere l’unica leva dei processi decisori e delle azioni imprenditoriali. La sua risposta, che si traduceva nel suo modello di impresa, era che il profitto dovesse essere coniugato con un’azione che favorisse lo sviluppo umano e sociale dei lavoratori, delle loro famiglie, della comunità e della società, più in generale.  Quei principi, oggi rispolverati dopo anni di deliberato abbandono, sono il cardine del concetto di impresa sostenibile. Il welfare aziendale, le logiche di inclusione, le pari opportunità e la difesa del territorio e di valori come la giustizia, l’equità, la solidarietà, sono oggi riconosciuti come pilastri della funzione delle imprese. Nonostante qualche recente preoccupante segnale di rallentamento del processo virtuoso verso questi principi di sostenibilità, i mercati ed anche in alcuni casi interventi legislativi internazionali e nazionali hanno sancito la loro priorità ed anche imposto regole di rendicontazione, allargando il perimetro di applicazione non solo a grandi imprese, ma anche a PMI. Tutto questo, quando, del resto, le organizzazioni del terzo settore erano già da tempo obbligate a dare conto dell’impatto sociale del proprio operato.  Cosa serve affinchè si possano produrre effetti tangibili in termini di impatto sociale sulle comunità? Deve passare il concetto di responsabilità allargata e condivisa, che coinvolga in modo collaborativo e sistemico attori pubblici, privati e terzo settore.
Un esempio virtuoso di questa collaborazione sistemica è il progetto recentemente inaugurato di Casa Bartimeo, struttura polivalente di servizio agli ultimi realizzata grazie alla collaborazione tra privati, istituzioni ed il ramo ETS dell’Arcidiocesi di Napoli. Quest’ultima struttura costituisce peraltro una prima innovativa iniziativa di ente del terzo settore realizzato in Italia da una Diocesi per rispondere ad esigenze di inclusione, solidarietà e sviluppo di una comunità e di un territorio. Il progetto prevede una casa famiglia, un ambulatorio solidale, servizi gratuiti di assistenza legale e psicologica ai meno fortunati.  La collaborazione, sotto il coordinamento del Ramo Ets dell’Arcidiocesi di Napoli e della Caritas diocesana di Napoli, coinvolge come finanziatori Fondazione con il Sud, Arciconfraternita dei Pellegrini, Fondazione Grimaldi e Fondazione San Gennaro,  e come partner operativi l’associazione Medici di strada, il Cair e la Kilometrozero Coop Sociale.  Per sviluppare progetti capaci di produrre un impatto sociale efficace per la comunità è perciò essenziale, a nostro modo di vedere, mettere a sistema le tante organizzazioni pubbliche, private e del terzo settore, che fanno della responsabilità e della sostenibilità un valore e non uno slogan.  
Prof. Mauro Sciarelli, docente di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli studi di Napoli "Federico II" 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui