Il pianeta che tutti conosciamo sta cambiando, lento (nemmeno troppo) e inesorabile. Per qualche inspiegabile motivo, forse incauto ottimismo, facciamo ancora fatica ad immaginare il mondo che ci aspetta, nonostante la certezza dei modelli scientifici. La narrazione della crisi climatica sembra continuare a non sortire alcun effetto e nessuna reazione, nemmeno nelle coscienze di chi, come del resto tutti, ha tutto da perdere. Continuiamo a ragionare come se niente fosse successo e niente stesse succedendo, arrivando a proiettare un immaginario futuro dei nostri figli in un mondo ideale, che ormai appartiene solo al passato. Si continua a dare tutto per scontato, compreso la sopravvivenza. La verità razionale evidentemente non basta, è necessario appellarsi all’emotività. Così, quella narrazione scientifica, certamente complessa e forse troppo distante dall’immaginario collettivo, ha cercato e provato vie traverse affinché il messaggio passasse, in maniera semplice e inequivocabile: siamo ad un passo dal baratro. Film, musica, arte e moda sono riusciti dove l’indigesta e noiosa narrazione scientifica ha fallito. Ormai, da Vladivostock alla Terra del Fuoco passando per Lomé e l’Aspromonte, non si fa che parlare di cambiamento climatico. Il trend indiscusso del momento è il Green. Missione compiuta, sembrerebbe. Eppure concretamente nulla è cambiato. Le coscienze restano sopite, o meglio, indolenti di fronte alle responsabilità del proprio operato. Non abbiamo ancora perso abbastanza, sostengono i più scettici; per smuovere le coscienze serve che ci si senta minacciati in ciò che si ritene imprescindibile, direbbero i più saggi. Allora voglio provare anche io a spicciolare il concetto… da buon napoletano.

Cosa può spaventare di più un napoletano se non sapere che potrà perdere una delle cose a cui tiene di più? Parliamo, con straziante dolore, proprio del caffè. Ebbene sì, la “tazzulella” sarà solo un dolce ricordo in un mondo amaro. Non me ne vogliano i deboli di stomaco e i leggeri di cuore, ma se non si agirà subito per azzerare le emissioni di gas serra nell’ambiente, entro il 2050 il 90% delle coltivazioni di caffè non troverà più terreno idoneo per crescere. Le più lunghe stagioni secche, la variazioni anomale di temperatura e le violente e intempestive precipitazioni, effetto della crisi climatica in corso, porteranno ad una drastica diminuzione della produzione di caffè, mettendo in serio pericolo un mercato da 460 miliardi di dollari l’anno. Lo studio, pubblicato dal Dipartimento di Scienze delle risorse naturali dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo, racconta uno scenario preoccupante tanto per i consumatori quanto per i coltivatori. Si stima che le conseguenze dei cambiamenti climatici sulle sole coltivazioni di caffè possano mettere in serio pericolo più di 3 miliardi di persone, che perderebbero il lavoro in conseguenza del crollo della produzione. Dopo il petrolio, che ne detiene il primato, il caffè è il secondo prodotto più commercializzato al mondo, con 3 miliardi di tazzine consumate ogni giorno. La sola filiera dell’espresso italiano vede impiegate 17000 persone. Nonostante i 14 modelli predittivi, utilizzati dal team del Prof. Gruter, è difficile immaginare davvero le reali ricadute economiche e sociali a cui stiamo andando incontro.

E così, la bevanda democratica per natura, rito d’accoglienza e viatico d’amore, per gli altri e per se stessi, sarà un bene di lusso, da tenere gelosamente conservato per le occasioni speciali. Innaturale pensare che possa sparire dalla nostra quotidianità una bevanda che viene consumata ogni giorno da miliardi di persone in tutto il mondo, e che per un napoletano è sacra quanto Maradona, la pizza e San Gennaro. Difficile immaginare un mondo senza caffè, vero?

di Valerio Orfeo

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