Li chiamano “angeli in mascherina” per come ogni giorno affrontano il nemico invisibile.

E tra loro sono tanti gli infermieri, come lui, che arrivano in corsia per donare un sorriso e la speranza agli ammalati che assistono in questo difficile momento per tutto il Paese. Anche a Napoli gli operatori sanitari sono in affanno, ma non smettono di lottare per sconfiggere il virus. Visiera, camice, doppi guanti e occhiali speciali. A vederlo così equipaggiato ci si rende conto del concreto rischio a cui tutti siamo esposti ogni giorno, in tempi di emergenza da Coronavirus. Ma da decenni lui vive ogni giorno a stretto contatto col rischio, prendendosi cura insieme ad altri volontari di persone sieropositive e non solo. In questi giorni all’ospedale Cotugno sta fronteggiando insieme agli altri operatori sanitari quella che si è rivelata un’emergenza a tutti i livelli.
E, come tutti i suoi colleghi, ha l’obbligo di rispettare le misure preventive stabilite dai vari decreti emessi finora dal presidente del Consiglio: «Non potremmo fare altrimenti, anche se non vanno incrementate paure nell’utenza».
Si tratta di Vincenzo De Falco, coordinatore infermieristico della 9 Divisone del Cotugno, presidente della sezione Campania di Anlaids e dell’associazione V.o.l.a. (Volontari ospedalieri lotta all’aids), una onlus che da anni opera sul territorio per attività finalizzate alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, che traccia un bilancio di chi vive letteralmente in trincea in queste settimane ed è continuamente esposto al pericolo. «Opero nel settore dal 1992 – spiega – e dal 2003, quando è nata l’associazione V.o.l.a., che ha sede all’interno del Cotugno seguo pazienti sieropositivi, con i quali vanno presi i dovuti accorgimenti in questi giorni. Per questi pazienti dobbiamo fare molta attenzione.  Ovviamente non solo per loro, ma in questo caso i dati sono allarmanti: secondo il Coa (Centro operativo aids), sono 3.643 i pazienti infetti dal virus Hiv, di cui 800 sono giovani che non sanno nemmeno di esserne affetti e 300 hanno tra un’età compresa tra i 15 e i 25 anni. Ciò significa che nel 2020 c’è ancora poca informazione su questa malattia».
Di conseguenza per chi è a contatto ogni giorno anche con questi ammalati, alla luce dell’allarme da Coronavirus, sono stati attivati i cosiddetti dispositivi di protezione individuale: «Oltre ad attenerci alle direttive dei decreti governativi – specifica De Falco – tutti noi operatori dobbiamo indossare una visiera, una mantellina, un camice, sovrascarpe, un doppio paio di guanti e occhiali particolari. Inoltre – aggiunge – per questi pazienti affetti da aids, eccetto i ricoveri, in via precauzionale sono stati bloccati le prestazioni ambulatoriali e i day hospital».
di Giuliana Covella