Il secondo romanzo di Raffele Mozzillo (effequ editore), proposto al Premio Strega, narra la storia di tre generazioni divise tra due paesi, la Svizzera e il sud Italia, attraverso la quale l’autore, con la sua scrittura aspra e simbolica, affronta tematiche sociali antiche, ma che riecheggiano maledettamente attuali.
In “Calce o delle cose nascoste” Mozzillo parla infatti di emigrazioni, suppur riferendosi a quelle forzate degli italiani negli anni ‘60 (ma perché oggi non lo sono ugualmente?), razzismo, degli elvetici verso i terroni meridionali e dei meridionali nei confronti dei loro compaesani (quasi spontaneo il pensiero corre alle quintalate di frasi e atteggiamenti razzisti della nostra Italia di oggi), cementificazione selvaggia (con i suoi corollari di illegalità), e disgregazione familiare mostrandoci tutto questo da una specie di buco della serratura. Sì, perché il lettore è quasi un testimone privilegiato della saga familiare dei Coppola di cui vengono svelate le crepe e i segreti inenarrabili squarciando, finalmente, il velo patinato di buonismo nel quale è avvolto l’ambiente domestico, spesso un legaccio mortifero invece che luogo di cura. 
In un tempo narrativo in cui i personaggi, raccontati alternando sapientemente la terza alla seconda persona, si muovono a volte in avanti talaltra indietro arrancando nella quotidianità, e forse anche banalità, delle loro esistenze quotidiane, lo scrittore casertano dipana con toccante ferocia e forza centripeta la fatica dello stare al mondo fino a lasciarci, nelle ultime pagine, senza fiato costringendoci a rileggere la storia dal suo finale. Un libro spiazzante, poetico e provocatorio, di cui la letteratura moderna aveva  decisamente bisogno.
di Ornella Esposito