L’emergenza sanitaria generata dall’emergenza Covid-19 è una grande crisi sanitaria con effetti notevoli in ambito economico e finanziario, che potremo meglio comprendere e analizzare nel lungo periodo, a distanza di tempo.  E’ chiaro però che affronteremo una grande recessione, stiamo assistendo a un calo drammatico della domanda e dell’offerta aggregata. Per contrastare il fenomeno bisogna favorire gli investimenti. Ecco perché si ricorre a strumenti di politica monetaria non convenzionali come il Quantitative Easing, adottato sia dalla Fed che dalla BCE. Ma in che cosa andremo ad investire esattamente dopo questa crisi? Per molti economisti di grande spessore il Covid-19 rappresenta un’occasione per ridisegnare un mondo a misura dell’ uomo e dell’ambiente e ripartire. L’attenzione per il sociale non può più essere un’opzione, ma la direzione in cui muovere l’economia. D’altro canto come scrive Muhammad Yunus: “L’economia è uno strumento che ci può aiutare a perseguire gli obbiettivi che noi stessi ci prefiggiamo. Non deve farci sentire tormentati e impotenti. Non dobbiamo dimenticare, mai neppure per un istante che l’economia è uno strumento creato da noi uomini. E’ uno strumento messo a punto per arrivare alla massima felicità collettiva possibile”.  E Yunus, vincitore del  Nobel per la pace nel 2006, ha lavorato a lungo sulla felicità collettiva  con la sua Grameen  Bank ha portato il microcredito in Bangladesh e in India. Secondo Yunus infatti la ripresa post corona-virus deve essere trainata da una consapevolezza sociale e ambientale. In poche parole ai bailout (interventi effettuati da istituzioni bancarie e pubbliche per salvare istituzioni finanziarie dai fallimenti) devono seguire progetti e interventi basati sul sociale. Per esempio bisognerebbe puntare all’impresa sociale. Le imprese sociali sono enti privati che esercitano un’attività di impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. E come Yunus tanti altri economisti hanno prospettato interventi in questa direzione. Dicevamo che bisogna ricominciare a crescere. Ma come? Lo ha affermato recentemente  il Premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz: “C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui misuriamo il progresso economico e sociale”. Non a caso nel 2016 appariva sulla famosa rivista “The Economist” la seguente frase: “GDP is a gauge for material well-being. Time for a fresh approach”. Il PIL non è dunque uno strumento sufficiente a misurare il benessere delle nazioni ed è necessario un nuovo approccio. Il Covid-19 potrebbe dunque rappresentare la giusta occasione per cominciare ad approcciare diversamente e puntare su nuove misure. Possiamo ripartire dalla riflessione di Amartya Sen, altro premio Nobel per l’economia, sul concetto di sviluppo:  “Lo sviluppo non è altro che aumentare le libertà reali di cui gli individui possono godere”. Per crescere e svilupparsi è necessario lavorare sulle libertà degli individui: nutrirsi,  curarsi, studiare, lavorare, avere la possibilità di fondare una famiglia, di arricchirsi culturalmente, di vivere liberi dalla paura della violenza e della criminalità, avere la libertà di affermare la propria identità, di pensare, scrivere, esprimersi, realizzare la propria individualità. Sono innumerevoli le libertà che devono essere garantite per puntare al benessere di una società- Tim Jackson economista ecologico britannico, professore di Sviluppo sostenibile all’University of Surrey spiega che la ripresa dovrebbe ripartire infatti dal benessere, non dalla crescita. In poche parole bisognerebbe puntare all’economia del benessere. Ma che cos’è esattamente? Secondo il Consiglio dell’UE si tratta di un approccio orientato alle politiche e alla governance che mira a mettere le persone e il loro benessere al centro delle politiche e del processo decisionale. Espandere le opportunità, ridurre le disuguaglianze e garantire la sostenibilità ambientale e sociale. Anche per Thomas Piketty, l’economista delle disuguaglianze, la crisi potrebbe essere l’occasione per affermare lo stato sociale: i ricchi e le grandi aziende devono essere indotti a contribuire per le esigenze delle fasce più deboli della popolazione. Si potrebbe  pensare ad una rendita sanitaria e scolastica minima per tutti, finanziata da un diritto universale su una parte del gettito fiscale a carico delle persone più abbienti. Le disuguaglianze, d’altro canto, rappresentano un problema che riguarda tutti, senza distinzioni. Come si può pensare che una classe non sia affetta dalla povertà di un’altra? Conviviamo in un mondo sempre più interconnesso (il virus ne è la dimostrazione) dove la sofferenza di un paese si riversa inevitabilmente su un altro più stabile e apparentemente immune. Lo stesso discorso si applica alle disuguaglianze che vigono tra le regioni, tra le città e anche tra i quartieri. Basti pensare alla nostra città, alla dura lotta alla sopravvivenza che oggi si affrontano in molte zone periferiche di Napoli. Siamo sicuri che questi disagi a molti apparentemente lontani rimarranno confinati nei rispettivi quartieri? Non esistono privilegi senza gravi effetti collaterali.

di Lea Cicelyn