Micaela Tempesta non ama i fronzoli, è una che va dritto al punto senza nemmeno tentare di addolcire la realtà. Schietta e innamorata della musica, ha fatto della coerenza la sua bussola non solo come persona ma anche come musicista. Artisticamente nasce un ventennio fa, negli ambienti underground, non solo campani, e per lungo tempo si è occupata di remix e musica dance. La sua passione precoce per la musica l’ha portata a studiare da autodidatta una varietà di strumenti musicali, come la chitarra, il pianoforte e il basso, senza disdegnare l’utilizzo dei più moderni plug-in su laptop. Lo scorso anno è uscito BLU, il suo primo album solista, nel frattempo ha incassato il premio Bindi 2019 e il prossimo 4 febbraio ritirerà a Casa Sanremo il premio della X edizione di Musica contro le Mafie. Comunicare il Sociale l’ha intervistata.  
 Hai vinto la X edizione di Musica contro le mafie, cosa significa per te questo riconoscimento? «Per me è stata un’esperienza bellissima e molto utile per misurarmi con i giovanissimi, i maggiori frequentatori del festival. Anche se non avessi vinto il primo posto, sarebbe stata già una vittoria il fatto di essere fermata dai ragazzi desiderosi di confrontarsi con me».
Il brano con cui ti sei aggiudicata il podio è 4M3N, che affronta il tema delle migrazioni, del lavoro nero,della violenza di questo tempo.  Cosa può fare una canzone per il sociale? «La musica è un linguaggio universale e immediato, dunque, un vettore forte e leggero di comunicazione. Al posto di un discorso, il rif di una canzone può essere martellante e magari aprire un varco nelle coscienze di chi lo ascolta.Il brano con cui ho vinto in realtà si chiama Amen, solo che oggi i ragazzi parlano con numeri e lettere ed io, che navigo musicalmente in un mondo abbastanza legato ai giovani, ho pensato a questo titolo non sapendo che già il rapper Tha Supreme aveva lanciato un intero album con titoli scritti a lettere e numeri».
Affrontare tematiche sociali nella musica a volte può nascondere l’insidia di calcare luoghi comuni, quasi come fosse un po’ un cliché il musicista impegnato. Cosa distingue un artista davvero impegnato da uno che lo è solo “sulla carta”? «La vera distinzione la fa la coerenza dei comportamenti. La maggior parte delle persone sottovaluta il pubblico, che invece è molto attento e riconosce la sincerità di un artista. Pochi sono bravi a raccontare le bugie, e il pubblico prima o poi riesce a distinguere chi è autentico da chi invece fa solo l’istrione».
Nelle tue canzoni parli anche d’amore, di disillusioni (Favole), della tua città, Napoli, “bella e perduta”. Di questi tempi si può parlare ancora d’amore? E in che termini?
«Sì, se ne può ancora parlare anche se è il mondo intorno è molto cambiato. Io sento che sotto c’è ancora qualcosa, non è tutto liquido, ma siamo molto distratti. Oggi abbiamo il mondo a portata di mano e tutti cercano la persona perfetta, la storia perfetta, ma non è così perché la perfezione è una chimera».
Il tuo album d’esordio BLU risale allo scorso anno, anche se da oltre venti sei impegnata nel mondo della musica. Perché solo ora ti metti a nudo? «Diciamo che io sono stata un po’ sfortunata perché vissuta e vivente in un’epoca a cavallo di un cambiamento, sia per il passaggio dal cd al digitale sia per il cambiamento nel modo di produrre la musica. Oggi le etichette sono più interessate ai fronzoli che alla musica».
Napoli sembra stare vivendo in momento magico dal punto di vista della arti, in particolare per la musica. C’è molto fermento in città, ma resta ancora difficile “esportare” gli artisti fuori dai confini della Campania. Tu che hai anche un occhio e un orecchio internazionale, cosa pensi a riguardo? «A Napoli manca una casa di produzione vera, significativa, capace di reggere il confronto fuori dai confini regionali e di misurarsi con realtà importanti. C’è molta musica ma è assente la filiera del business».

di Ornella Esposito