Giunge al quarto workshop il progetto teatrale “La linea del cuore lab”, nato da un’idea del Cdr Fiera dell’Est Ds. 26, articolazione del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Na 1. Un progetto che coinvolge non solo altre realtà dell’ambito riabilitativo della salute mentale, ma anche di produzione di socialità e saperi come l’Istituto Magistrale Margherita di Savoia.
Il progetto muove i primi passi, come attività laboratoriale, con la messa in scena delle guarattelle all’interno delle attività del Cdr Ds. 26 a Soccavo, Napoli, per poi raggiungere un più ampio raggio di apertura e inclusione coinvolgendo altri centri diurni di riabilitazione presenti sul territorio partenopeo. L’obiettivo è far esprimere le persone attraverso le loro capacità teatrali, superando uno dei presupposti della psichiatria che considera il sofferente come deviante morboso e patologico e non più come individuo. Si cambia punto di vista per far emergere ciò che conta nelle relazioni ovvero la persona e le sue emozioni, senza ridurle a sintomo. L’educatrice del Cdr Ds. 26, Elena Primicile, offre, con questi incontri artistici, uno spazio per liberarsi dall’etichetta del sofferente: un palcoscenico in cui la maschera sociale viene tolta, dove ciò che conta è la passione che muove l’individuo e non la categoria che lo vuole definire.


Con questi workshop, volti a dotare i e le partecipanti di tutti quegli strumenti artistici funzionali al progetto teatrale, si vuole anche decostruire il concetto di follia posto in contrapposizione a quello, culturalmente strutturato e accettato, di normalità, e lo si fa iniziando dallo spazio. Si lasciano i luoghi istituzionalizzati della sofferenza e della riabilitazione per aprirsi ai luoghi di produzione sociale e culturale, dal Giardino Liberato di Materdei alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, luoghi in cui si svolgono i workshop e in cui si incontrano agio e disagio, “utenti” e “non utenti”, dove si annulla la differenza e non importa riconoscere la “malattia”.
Durante il workshop, condotto da Guido Primicile Carafa, la maschera viene interrogata e indossata, si cerca di lasciarsi andare al processo di evasione artistica, di liberazione della propria identità. Tutti coloro che vengono socialmente e quotidianamente differenziati tra “utenti” e “non utenti” si incontrano e si confondono al centro della sala, saltando e puntando la maschera, facendo così cadere ogni categorizzazione sociale, ogni riconoscimento istituzionalizzato, ogni stereotipo incorporato, lasciando così emergere solo l’individuo e la sua passione che lo accomuna e lo fa riconoscere in ogni altro.

Foto e articolo : © Emanuela Rescigno