C’era una volta in piccolo paesino del Messico una bambina di undici anni che non sopportava l’idea, anzi provava un vero e proprio dolore pensando di essere destinata a preparare tortillas e dare alla luce bambini. Ed essere nata femmina, povera e indigena non sembrava lasciarle molte alternative. Forse fu l’influenza del maestro Joaquin che si recava a fare lezione ad Eufrosina e alle sue compagne camminando per dodici ore quando al villaggio mancava elettricità e portando con se’ articoli e stralci di giornale che aprivano finestre sul mondo esterno. Forse furono le parole del padre che la condannavano ad una vita senza libertà o forse fu la forza che nasce quando hai un sogno, ma Eufrosina Cruz lasciò presto il paesino di Santa Maria Quiegolani, imparò lo spagnolo e si mantenne gli studi vendendo frutta e gomme da masticare per le strade di Salina Cruz, Oaxaca. Si laureò come contabile presso l’Università Autònoma Benito Juàrez. Ma la storia di questa giovane donna messicana non trova il suo compimento nel conseguimento di un titolo di studi, la vera battaglia prende forma quando Eufrosina ritorna nel suo paese e rivendica i suoi diritti di soggetto politico, di candidarsi come sindaco e di votare. Secondo le tradizioni locali ne’ le donne ne’ gli uomini con più di sessant’anni d’età avrebbero avuto la possibilità di accedere alle scelte di vita pubblica. Un fronte machista compatto però le si oppose e il 4 giugno 2007 non solo le strapparono la vittoria alle elezioni, ma venne presa in giro ed insultata. Eufrosina non si fermò, nonostante il grande dolore che generò nella sua famiglia a cui furono sottratti gli aiuti stabiliti dai programmi sociali e iniziò a lottare sempre più agguerrita per i diritti delle donne della sua comunità. Nel 2010 è stata la prima donna indigena ad insediarsi alla presidenza del Parlamento di Oxaca ed è diventata deputata del Parlamento messicano. Ha raccontato la sua storia a TED, l’organizzazione mediatic che si occupa di diffondere storie e idee nel mondo: “Sono figlia di una donna indigena e di un uomo indigeno a cui la vita e le circostanze impedirono di andare a scuola. I miei genitori non sanno ne’ leggere ne’ scrivere. Le mie sorelle si sono sposate presto, secondo la volontà di mio padre e hanno già avuto molti figli. Però non riesco ad attribuire la colpa di tutto questo ai miei genitori. Semplicemente credevano che fosse la cosa giusta. Io sono un’indigena e ho dovuto imparare la lingua con cui oggi comunico con tutti voi per poter capire quali fossero i miei diritti e i miei doveri. A venticinque anni il mio cuore si divise in due parti, una apparteneva alla mia storia, la mia lingua, le mie radici. L’altra ai miei occhi che non riuscivano a capire perchè mia madre fosse la prima a svegliarsi e l’ultima ad andare a dormire. Me ne sono andata dalla mia terra e mi sono dovuta conquistare la mia educazione perchè la vita non me l’ha regalata. Non riesco a colpevolizzare l’ambiente di povertà in cui sono crescita, colpevolizzo la povertà della mente. Perchè quando una mente non è istruita ha paura di domandare e di decidere come vorrebbe le cose. Però quando una mente si apre capisce che cos’è la libertà, quali sono i diritti e i doveri che le spettano, senza rinnegare le proprie radici. Sono orgogliosa di essere indigena.”

di Lea Cicelyn