ROMA- L’ultimo caso pochi giorni fa, ad Andria, in Puglia, dove l’ex presidente dell’Ordine regionale della Puglia e attuale Consigliere nazionale, Giuseppe De Robertis, assistente sociale al servizio tutela minori di quel Comune, è stato raggiunto da benzina scagliata da una bottiglia da una donna. Fortunatamente il pronto intervento della Polizia locale ha impedito che la donna usasse l’accendino che teneva nella borsa evitando così una tragedia. Le aggressioni ad assistenti sociali sono ormai quotidiane: in alcuni casi si è sfiorata la tragedia come nel caso della collega di Genova aggredita con un machete o quella di Prato picchiata selvaggiamente dalla madre di un minore che la riteneva responsabile dell’allontanamento della figlia avvenuto pochi prima; o, ancora, quella di Pavia finita all’ospedale per i pugni e calci ricevuti da un uomo sfrattato. Aggrediti, stalkerizzati, minacciati: un vero e proprio bollettino di guerra quello a cui sono sottoposti gli assistenti sociali italiani.
E i numeri mostrano che questo fenomeno, che sta raggiungendo il livello di una vera e propria emergenza, è diretta conseguenza dello stato di crescente sofferenza in cui si trova oggi il sistema dei Servizi sociali: su questi servizi, infatti, si scarica la sfiducia e la rabbia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Sempre più spesso gli assistenti sociali si trovano a lavorare in condizioni difficoltose, senza i necessari strumenti, senza le necessarie tutele, lasciati soli a fronteggiare la dirompente complessità che riguarda le persone che si rivolgono ai Servizi sociali, letteralmente al limite dell’eroismo. Non marginale responsabilità va ascritta ad una narrazione della professione di assistente sociale e degli interventi che competono a questa figura, frutto di semplificazione e superficialità se non addirittura di disprezzo e che ottiene il risultato di minare alla radice il rapporto di fiducia dei cittadini. I recenti fatti di cronaca rendono dunque non più eludibile la necessità di attivare nuovi sistemi organizzativi finalizzati all’aumento del livello di sicurezza nei luoghi di lavoro, non disgiunti da strategie metodologiche per gestire meglio le criticità con investimenti in specifiche risorse professionali dedicate proprio alla sicurezza e nella formazione anche continua degli stessi assistenti sociali per gestire al meglio le eventuali emergenze.
I NUMERI-  Una recentissima ricerca promossa dal Consiglio nazionale degli Assistenti Sociali e dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali – di cui sono stati resi noti i dati più rilevanti – ha coinvolto sul tema sicurezza e aggressioni quasi 20mila degli oltre 42mila assistenti sociali italiani. Ebbene, nel corso della propria esperienza professionale solo poco più di un assistente sociale su dieci (11,8%) non ha mai ricevuto minacce, intimidazioni o aggressioni verbali. Tre professionisti su venti (il 15,4%) hanno subito una qualche forma di aggressione fisica; l’88,2% è stato, dunque, oggetto di violenza verbale, mentre il 61% ha assistito ad episodi di violenza verbale contro i colleghi. Ed ancora: l’11,2% ha subito danni a beni o proprietà addebitabili all’esercizio della professione; il 35,8% ha temuto per la propria incolumità o quella di un familiare a causa del lavoro. Rilevante è che nel solo terzo trimestre del 2017 – e quindi in un arco di tempo relativamente breve – oltre mille tra i partecipanti alla ricerca abbiano subito forme di violenza fisiche che hanno richiesto un intervento medico importante. Dato, questo, preoccupante – considerate le conseguenze in termini di danni alla salute fisica e psicologica dei professionisti coinvolti – anche per la percezione da parte degli assistenti sociali di una sempre maggiore incidenza del fenomeno della violenza durante lo svolgimento del proprio lavoro. Un quarto del campione (25,4%) pensa che la violenza fisica contro gli assistenti sociali sia aumentata negli ultimi cinque anni; il 61% degli intervistati ritiene che lo sia quella verbale, il 47,1% ritiene che episodi che comportano danni o minacce di danni a beni e proprietà sia aumentata nello stesso arco di tempo. Emerge, poi, che i settori nettamente più a rischio sono i servizi a tutela dei minori e i servizi a sostegno di adulti in difficoltà. Circa un quarto del campione (24,5%) svolge la professione presso servizi a sostegno e tutela di bambini e famiglie; un quarto del campione (25,5%) si dedica a persone che hanno necessità di sostegno legate all’età anziana (14,1%) o a condizioni di disabilità (11,4%); il 9,3% degli intervistati lavora in servizi per adulti in difficoltà, il 5,9% si occupa di progetti sociali nell’ambito del penale o del penale minorile; 18,2% in servizi integrati socio-sanitari Solo il 3,6% è dedicato a servizi a sostegno della popolazione immigrata. Non va, poi, sottovalutato il fatto che solo una parte delle aggressioni fisiche subite vengono segnalate alle autorità di pubblica sicurezza o al proprio ente, rispettivamente nel 10,6% e 23,3% dei casi. Presumibilmente in ragione di un certo grado di sfiducia diffuso tra i professionisti. Il 49% dichiara che a seguito di episodi di violenza verbale l’ente di appartenenza non ha preso alcuna iniziativa concreta per aiutarli e sostenerli.

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