cabrasCAGLIARI- Era il 31 marzo 1974 quando La Nuova Sardegna titolava: “Cabras, aratro scopre tempio punico”. Nell’isola queste notizie sono praticamente all’ordine del giorno. Nessuno si sarebbe mai aspettato che a Monti Prama (Monte della Palma), nei pressi di Oristano, sarebbero venute fuori più di trenta statue di arenaria di guerrieri a grandezza naturale talmente antiche da renderne la datazione difficoltosa. Parimenti, nessuno si sarebbe aspettato neanche che tale scoperta sarebbe stata archiviata per trent’anni. Sta di fatto che nel 2005 le centinaia di pezzi rinvenuti a Cabras sono state restaurate a Sassari con fondi pubblici e per mano dell’Università e da qualche mese è possibile vederle da vicino sia nel museo di Cabras che in quello di Cagliari, dove si possono anche osservare virtualmente da ogni angolazione grazie al lavoro del centro di ricerca CRS4 di Pula.

Cosa c’entrano i Giganti con il sociale? In Sardegna non si era mai visto un interesse così grande per queste tematiche e questo è stato dimostrato, ad esempio, dalle quattromila e trecento condivisioni di un articolo che Repubblica ha dedicato ai Giganti di Monte Prama. Una specie di “primavera sarda” in ambito culturale pare essersi instaurata in ogni angolo della società e questa eco arriva, poco a poco, ad occupare anche le pagine dei quotidiani nazionali e stranieri. Da questi movimenti dal basso nel 2013 nasce anche Nurnet, La Rete dei Nuraghi, una fondazione di partecipazione non profit con circa cento soci sparsi in tutta la Sardegna con lo scopo di promuovere la storia e dei monumenti sardi riferibili al periodo prenuragico e nuragico (approssimativamente dal 3000 a.C. al 500 a.C.), un lungo periodo in cui la Sardegna pare essere stata la culla di una cultura, oltre che assolutamente peculiare, per molti versi anche più avanzata di quelle coeve.

All’aspetto divulgativo Nurnet affianca anche una serie di analisi legate all’economia, al marketing territoriale, alle prospettive turistiche legate alla valorizzazione dei monumenti, il tutto elaborato gratuitamente da soci fondatori e sostenitori appartenenti a varie discipline: archeologi, ingegneri, economisti, geologi, giornalisti, fotografi. Per riuscirci, la Fondazione utilizza quattro strumenti comunicativi: un sito internet su cui caricare contenuti di qualità e dare visibilità ad una serie di monumenti sconosciuti ai più; una pagina Facebook dove poterli condividere ed amplificare; ma soprattutto realizza – anche qui con la collaborazione del CRS4 ma stavolta gratuitamente – un geoportale unico al mondo in cui tutti i dati dei monumenti della Sardegna preistorica siano liberamente consultabili, scaricabili e, soprattutto, caricabili da chiunque abbia voglia di farlo; una app apposita per trovare con un semplice smartphone la localizzazione dei nuraghi.

La fan page di Nurnet, oltre a fare da cassa di risonanza al sito, aggiunge – sempre per chiunque – la possibilità di “adottare” un nuraghe del proprio territorio e curarne la relativa pagina “satellite”. Prende piede l’idea che condividendo socialmente i monumenti dimenticati e promuovendone quantomeno per una loro pulizia su base volontaria, sia possibile tornare ad apprezzare questa parte di storia. L’entusiasmo degli internauti è immediato. Nel giro di un anno e mezzo Nurnet è alle soglie dei ventimila mi piace che, relazionati alla popolazione sarda ed alla complessità dei temi archeologici, rappresentano un grande risultato.  La presenza di circa diecimila nuraghi sparsi in tutto il territorio, di cui solo una parte infinitesimale scavata, valorizzata e affidata a cooperative,  farebbe supporre che il problema non sia solo il disinteresse dei cittadini quanto la capacità delle istituzioni di conoscere e riconoscere il bene comune di un intera isola. Il dibattito è appena cominciato.

di Mariagiovanna Dessì

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