USA- Per il 2050, la sicurezza alimentare del pianeta sarà garantita se la produttività agricola attuale aumenterà di una quota compresa tra il 60 e il 110%. L’analisi, pubblicata su PlosOne, conferma le proiezioni degli esperti sulle urgenze alimentari del prossimo futuro. Lo studio è stato effettuato da un team dell’Università del Minnesota, prendendo in considerazione le quattro colture principali alla base dell’alimentazione mondiale (mais, riso, grano e soia) e ha evidenziato un problema: al momento, siamo molto lontani dai risultati auspicati.
POCA CRESCITA – Il tasso odierno di crescita annuale, infatti, si colloca tra lo 0,9 e l’1,6%; per la metà del secolo, sarà possibile raggiungere un aumento globale limitato al 38-67%. Di gran lunga inferiore alle future necessità. Il problema, secondo gli studiosi, è preoccupante soprattutto nelle aree in cui si registra un forte contrasto tra la crescita della popolazione e il declino della produttività agricola. L’esempio riportato nello studio è quello del Guatemala, dove alla crescita demografica di un popolo la cui dieta è tradizionalmente basata sul mais corrisponde una costante diminuzione della produttività locale di questo tipo di raccolto.
SOLUZIONI – Secondo Deepak Ray, autore principale della ricerca, è necessario puntare non sull’estensione della superficie delle aree coltivabili, quanto piuttosto sul miglioramento dell’efficienza delle terre attualmente coltivate. Fondamentali, inoltre, risulterebbero essere alcune strategie aggiuntive, come la riduzione dei rifiuti alimentari o la scelta di un regime dietetico sempre più vegetariano. Sfamare il mondo, però, qualunque sia la direzione prescelta, non sarà facile.
UN CAMBIAMENTO EPOCALE: PIÙ PESCE CHE MANZO – Il Rapporto 2013 presentato dall’Earth Policy Institute (l’istituzione fondata da Lester Brown, uno dei massimi esperti mondiali di problematiche ambientali) menziona un cambiamento, relativo all’anno in corso, definito «epocale». Per la prima volta nella storia moderna, la produzione mondiale di pesci d’allevamento (66 milioni di tonnellate nel 2012) ha superato quella di carne di manzo (63 milioni di tonnellate): un dato che parla non solo di «un cambiamento storico nella produzione alimentare» ma anche di «un cambiamento che al suo interno è una storia di limiti naturali».
PROTEINE E GEOGRAFIA – Tradizionalmente, il consumo di proteine animali è legato alla geografia dei luoghi abitati. Territori con vaste praterie (come Stati Uniti, Brasile, Argentina e Australia) hanno sviluppato il pascolo del bestiame, mentre aree come il Giappone hanno attinto alle riserve ittiche marine. Lo sfruttamento esagerato di ogni possibile risorsa ha però ridotto le possibilità, e ogni soluzione, oggi, presenta forti limiti. Quelli relativi al consumo di carne di animali da allevamento sono noti (dall’utilizzo di antibiotici alla produzione di CO2); meno conosciuti sono i problemi relativi all’acquacoltura.
PESCE POCO SOSTENIBILE – Chi pensa di essere più ecosostenibile perché si nutre di pesce di allevamento, forse non conosce tutti i fattori in gioco. Salmone e gamberetti, ad esempio (specie tra le più popolari e richieste), sono sì di allevamento, ma sono carnivori e si nutrono di farina di pesce prodotta a partire dal pesce pescato in maniera estensiva negli oceani. Il passaggio quindi, per quanto non immediato, esiste ed è tangibile: l’allevamento dei gamberetti, per esempio, viene considerato responsabile di oltre la metà della perdita globale delle mangrovie dell’intero pianeta, sradicate per fare spazio agli impianti di acquacoltura. In tutto il mondo si stanno esplorando strade diverse per rispondere alla domanda di cibo. Intanto l’Earth Policy Institute propone la sua soluzione: mangiare meno carne, latte, uova e pesce, e rallentare la crescita della popolazione.
 

di Elisabetta Curzel (corriere.it)

 
 

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