CANADA-  Le Giubbe rosse, le mitiche guardie canadesi, un simbolo della lotta dei buoni contro i cattivi, hanno qualche guaio. Non trattano bene le loro colleghe. Anzi, spesso si lasciano andare in molestie. Pesanti e leggere. Però sempre molestie. La storia, non nuova, è riemersa in modo imbarazzante per la decisione di 300 donne-poliziotto della Royal Canadian Mounted Police di promuovere un’azione legale. Una risposta a dozzine di casi di “harassment” compiuti dai loro colleghi durante le ore di servizio. Episodi finiti sui media locali e rilanciati da un articolo de The Economist. E’ uscito di tutto, su aggressioni, atti osceni, comportamenti non degni della gloriosa divisa. Storia vecchia si è detto. Ma questa non può essere una scusa. Già negli anni 80 erano spuntate alcune denunce, poi negli anni successivi ricerche condotte tra i ranghi avevano fatto emergere una verità nascosta: il 60% delle donne-poliziotto aveva subito molestie di vario tipo o era stato vittima di discriminazioni. Una tendenza che non sembra essere cambiata di molto. Ogni anno il comando riceve una media di 145 di denunce formali, alle quali si aggiungono altre, delle quali non c’è una traccia scritta. Il caporale Catherine Galliford racconta: «Qualsiasi cosa uscisse dalla bocca dal mio superiore aveva un riferimento sessuale. Se avessi ricevuto un centesimo ogni volta che i capi mi hanno chiesto di sedermi sulle loro ginocchia a quest’ora mi sarei comprata uno yacht». Krista K, altra donna finita in una situazione umiliante, ha accusato vertici del reparto di non aver risposto con fermezza.
Chi comanda le circa 19 mila Giubbe Rosse ammette il problema. E riconosce che è necessaria una linea severa, abbandonando l’indulgente teoria delle «poche mele marce». Serve altro, occorre sensibilizzare gli agenti e intervenire con fermezza. Per difendere quanti subiscono soprusi e difendere l’onore di un reparto che si è fatto un nome con gesti di coraggio. Non appena formate, nel lontano 1873, le Giubbe Rosse si sono mosse nell’immenso territorio canadese per tutelare gli indiani e stroncare i traffici illegali di alcol. Una realtà dura, con paesaggi-cartolina che hanno fatto da teatro naturale alla loro azione. Spesso difficile, in un ambiente selvaggio e poco abitato. Foreste, fiumi, orsi, contrabbandieri e nativi. Una missione raccontata in molti film, dove la Giubba Rossa è protagonista di avventure rocambolesche. Uno specchio di un lavoro reale, faticoso. A volte epico come alcune spedizioni condotte dai militari a cavallo.
Con il passare degli anni i compiti sono in parte cambiati. E le guardie non sono rimaste confinate negli spazi bucolici. Durante il primo confitto mondiale hanno tenuto d’occhio le spie tedesche. Sorveglianza che coincide con l’arrivo delle prime auto di servizio. Gradatamente l’unità si dedica ad altro. Con meno poesia e creando a volte qualche polemica postuma. Si scopre che le Giubbe hanno spiato a lungo comunità di nativi americani temendo attività estremiste. Intrusioni nelle vite degli altri riapparse più avanti quando dedicano molta attenzione al grande John Lennon e alla compagna Yoko Ono. Temevano che potessero essere dei «sovversivi», troppo vicini a gruppi pacifisti in occasione di un grande concerto. Avversari immaginari e nemici veri. Come le «ombre» del Kgb che si infiltrano in Canada e piazzano molte delle loro «talpe». I poliziotti canadesi devono sudare parecchio per sventare le operazioni dell’intelligence avversario che ha nel mirino la Nato e gli Usa. Poi ci sono i turbolenti separatisti del Quebec e le Giubbe raccolgono dossier su dossier. Attività in parallelo a quelle contro il crimine organizzato. Gang letali, capaci di far arrivare negli Usa stupefacenti di ogni tipo. Una lotta nel segno del motto del reparto, «Difendi la legge». Al quale oggi va aggiunta una postilla: e proteggi le tue colleghe.

di Guido Olimpo (corriere.it)

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