cairo manifestazione EGITTO- Morsi non è più presidente dell’Egitto. È golpe. La Costituzione è stata sospesa, il presidente eletto è stato deposto ed è trattenuto dalle autorità (nella notte è stato trasferito al ministero della Difesa). Al momento, al suo posto c’è il giudice della Corte Costituzionale Adli Mansour che è stato nominato presidente ad interim, con l’incarico di adottare «dichiarazioni costituzionali» durante il periodo di transizione. A darne l’annuncio – mentre la tensione sale, tanto che in serata ci sono stati almeno 10 morti negli scontri tra opposte fazioni ad Alessandria d’Egitto e in altre città – è stato Abdel Fattah al-Sissi, capo delle forze armate egiziane, in un discorso trasmesso in diretta tv. Il tutto dopo che Mohamed Morsi è stato informato dai militari di non essere più presidente dell’Egitto in seguito al fallimento dei negoziati con i militari per lasciare il potere. Morsi però non sembra demordere: e in un video diffuso nella serata di mercoledì, sia pure con immagini instabili e di cattiva qualità, afferma: «Io sono il presidente eletto dell’Egitto». Poi ha «chiesto al popolo di difendere la legittimità».
GLI ARRESTI – In serata, le forze di sicurezza hanno trattenuto il personale della rete qatariota al Jazira presente negli uffici del Il Cairo (Al Jazira è di proprietà del Qatar ed è considerata vicino ai Fratelli Musulmani) e nella notte sono stati arrestati i capi musulmani. In manette il leader del partito dei Fratelli musulmani Saad el Katatni e il capo dei parlamentari dello stesso partito al Bayumi, secondo quanto riferisce l’agenzia di Stato. Mentre il quotidiano al Ahram parla di ordini di arresto per 300 membri del partito.
FUOCHI D’ARTIFICIO IN PIAZZA TAHRIR – La notizia della caduta di Morsi e della road map è stata accolta con un boato da piazza Tahrir, dove sono esplosi fuochi d’artificio. «Il popolo e l’esercito sono una sola mano», lo slogan intonato dagli oppositori del presidente Morsi. L’esercito ha inoltre annunciato che si terranno elezioni anticipate in una data che verrà stabilita dal governo provvisorio.In giornata elicotteri militari avevano sorvolato piazza Tahrir circa un’ora dopo lo scaderedell’ultimatum imposto dai militari e scaduto intorno alle 17.30 locali, le 16.30 italiane. Le forze di sicurezza egiziane hanno disposto il divieto di espatrio per il presidente del Paese, che si era insediato un anno fa. Stessa sorte per molti leader del partito dei Fratelli musulmani. Morsi inoltre sarebbe stato posto agli arresti domiciliari dai militari nella sede della Guardia repubblicana.
PANE GIUSTIZIA E DIGNITA’ – Ed è il premio Nobel per la pace Mohamed el Baradei, l’uomo che sta gestendo, per conto di tutte le opposizioni egiziane, i negoziati per definire il dopo Morsi. El Baradei ha annunciato la road map per la transizione, un piano che garantisce elezioni presidenziali anticipate, risponde alle domande del popolo, realizza «una vera conciliazione» e rimette in marcia il processo della rivoluzione del 2011. «L’Egitto è la patria di tutti, nessuno escluso. Continuiamo la nostra rivoluzione per pane, libertà e dignità umana», gli ha fatto eco Mahmoud Badr, portavoce del movimento dei Ribelli Tamarod.
LA PREOCCUPAZIONE DEGLI USA – Nel frattempo nella crisi egiziana intervengono gli Stati Uniti, i principali finanziatori delle forze armate egiziane, che si dicono «estremamente preoccupati» ed invitano entrambe le parti ad avviare negoziati per arrivare a una soluzione pacifica. Il segeretario alla Difesa Chuck Hagel ha parlato due volte con il collega egiziano, generale Abdel Fattah el Sissi. Anche il presidente Barack Obama ha espresso preoccupazione per il Paese nordafricano e ha dichiarato: «Faccio appello alle forze armate egiziane – ha affermato – affinché agiscano rapidamente e responsabilmente per restituire piena autorità ad un governo civile democraticamente eletto, il più presto possibile, attraverso un processo inclusivo e trasparente». E ha anche detto all’esercito di evitare «qualsiasi arresto arbitrario ai danni del presidente Morsi e dei suoi sostenitori». Per quanto riguarda gli aiuti, Patrick Leahy, presidente della commissione del Senato che si occupa di controllare la gestione degli aiuti americani internazionali, non ci sono dubbi: «La legge parla chiaro: gli Stati Uniti devono tagliare gli aiuti, quando un governo democraticamente eletto viene deposto da un golpe militare o da un decreto». E così, la commissione è pronta a rivedere gli aiuti, che ammontano a circa 1,5 miliardi di dollari, in attesa di capire come si evolverà la situazione.
L’ULTIMATUM E LA TV – L’esercito lunedì aveva chiesto fermamente al leader del Paese di risolvere la situazione entro mercoledì pomeriggio. L’ultimatum era stato respinto. Mercoledì mattina veicoli blindati e carri armati dell’esercito egiziano si erano schierati intorno alla sede della televisione di Stato, la Ertu. Altri tank si trovano alla sede del palazzo presidenziale, e in altri punti strategici della città. Per la seconda volta in due anni, quindi, l’esercito appare intenzionato a scardinare le istituzioni che controllano il Paese. Solo che Morsi è anche il primo presidente eletto democraticamente nella storia dell’Egitto.
NIENTE DIMISSIONI – Pochi minuti prima della deadline la presidenza egiziana aveva diffuso su Facebook un comunicato nel quale ribadisce che «violare la legittimità costituzionale minaccia la pratica della democrazia», apre ad un governo di coalizione per arrivare alle prossime elezioni, e alla formazione di un commissione indipendente per la modifica della Costituzione (rinnovata a dicembre scorso) da sottoporre al nuovo parlamento.
LA FATWA SALAFITA CONTRO L’OPPOSIZIONE – Mercoledì Mohamed al-Zawahiri, fratello del leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, ha emesso una fatwa, una sentenza che autorizza i suoi seguaci a cambattere contro l’opposizione egiziana. «Non abbiate paura, né esitazione – ha spiegato al-Zawahiri, che guida la corrente jihadista salafita, ad al-Masry al-Youm – annunciamo ai nostri fratelli musulmani che alla fine non saremo noi i vinti, ma sarà il contrario». L’esponente islamico egiziano assicura di non volere «caos, disordine e sedizione», ma afferma la necessità di contrastare il «complotto ordito dagli Stati Uniti d’america e i loro agenti». Un altro religioso, Magdy Hussein, ha aggiunto che ogni mossa contro Morsi sarà considerata «un colpo di Stato». La folla, davanti alle moschee, canta «Non riporteremo al potere l’esercito».
LE VITTIME E LE DIMISSIONI – Nell’arco della giornata di martedì si erano registrate sette vittime negli scontri tra difensori e oppositori del presidente, e nell’arco della notte altre 16 persone sono morte. In totale, da domenica, le vittime di questi incidenti sono 39. Intanto, in piazza Tahrir, prosegue per il quarto giorno consecutivo l’adunata oceanica di manifestanti che chiedono le dimissioni di Morsi, e altre manifestazioni analoghe sono in corso davanti ai due palazzi presidenziali di Ittahadeya ed el Kobba, ad Alessandria e in altre città egiziane. I manifestanti pro-Morsi si sono radunati invece a migliaia davanti alla moschea di Rabaa el Adaweya, nella Capitale.
GLI STUPRI – Sul luogo delle proteste, nel frattempo, un centinaio di donne sarebbero state molestate o stuprate. Lo denuncia Human Rights Watch, che in un comunicato riferisce di «almeno 91 manifestanti aggredite sessualmente e in alcuni casi stuprate in piazza Tahrir in un clima di impunità». Domenica sono stati denunciati 46 casi di aggressioni sessuali, 17 lunedì e 23 martedì. Cinque altre aggressioni sessuali sarebbero avvenute venerdì e sono state denunciate da «Nazra for Feminist Studies».
 

di Redazione Online (corriere.it)

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