rignanoFOGGIA- Niente bagni chimici, niente cisterne d’acqua potabile, niente diritti. Solo le cimici, spazzate via grazie alla tempestiva disinfestazione fatta eseguire da padre Arcangelo Maira, il missionario scalabriniano che conosce bene questa fetta di Puglia dal volto africano. Un villaggio di cartone a soli dodici chilometri da Foggia. Lontano dalle luci, dai palazzi, dal centro, dalla gente. Non a caso, lo stato di emarginazione è racchiuso già nel nome: il Ghetto di Rignano, che ogni estate arriva ad ospitare più di mille migranti. Tutti lavoratori stagionali. Tutte braccia da utilizzare nella raccolta dei pomodori o degli altri frutti che sostengono l’economia e lo sviluppo della Capitanata. Arrivano dal Senegal, dalla Guinea Bissau, dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea Conakry. Arrivano per guadagnare qualcosa, per costruirsi un parziale futuro, anche se buona parte della loro paga finisce nelle mani dei caporali. Con la complicità di molti imprenditori agricoli, che impiegano manodopera senza contratto e violando le leggi.
IL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI- Oltre un centinaio di migranti, però, per scelta o per destino vivono al Ghetto di Rignano tutto l’anno. Anche d’inverno. Senza riscaldamenti, senza corrente elettrica, in condizioni igienico-sanitarie allarmanti. Eppure, tutti conoscono quello che succede nei casolari diroccati e nelle capanne realizzate con materiale di fortuna. «Le Istituzioni fanno sempre finta di non sapere quello che succede a metà strada tra Foggia e San Severo. Si rimpallano le responsabilità, non intervengono, non li vedono come persone. Solo la Regione Puglia, ogni anno, manda bagni chimici e cisterne d’acqua per rendere meno dura la permanenza dei lavoratori stagionali. Ma ad oggi – spiega padre Arcangelo – non è arrivato nulla, anche se ho fatto più volte richiesta e segnalato la continua presenza dei migranti». E sono proprio loro, i migranti che vivono al Ghetto, a denunciare con forza le difficili condizioni di vita in cui sono obbligati a vivere. «La situazione è catastrofica. Non c’è acqua, non ci sono bagni, siamo lontani dai luoghi di lavoro e dalla città. Chiediamo alla Regione Puglia di fare presto, di aiutarci». Malang Ndiaye ha 48 anni. Viene dal Senegal e da tre anni vive in Italia. E’ lui che si fa portavoce di questo gruppo di cinquanta migranti ammassati in uno dei dieci casolari del Ghetto.
IL CASOLARE- Nel casolare in tufo eletto a dimora, le condizioni igienico-sanitarie non sono delle migliori. Tanto che padre Arcangelo ha fatto effettuare una disinfestazione per eliminare le cimici che si erano annidate dappertutto. Nei materassi, nelle mura, sul pavimento. Anche se i lavoratori stagionali hanno cercato di rendere più confortevole il luogo in cui vivono. Ed hanno realizzato un bagno provvisorio all’aperto, mentre con le taniche di plastica hanno organizzato uno spazio per la doccia. «Per mangiare – racconta Malang – abbiamo realizzato un piccolo orto in cui coltiviamo pomodoro, mais, insalata». L’interno del casolare, però, è poco abitabile per via di incrostazioni, materassi logorati, mobili rovinati. Anche se i migranti cercano di tenerlo pulito, di conferire al luogo una dignità alloggiativa. Di fianco alle pareti del casolare, invece, c’è spazio per un cimitero di biciclette. «Molte sono ancora buone e le possiamo usare. Altre – confida il senegalese – devono essere aggiustate. Per chi non ha la macchina le biciclette sono l’unico mezzo di trasporto per arrivare in città o per andare al lavoro». Il lavoro. Strana parola da queste parti, visto che quando va bene «guadagniamo tre euro all’ora», senza contare l’immancabile piaga del caporalato e dello sfruttamento, fenomeni ancora ben marcati nella terra di Giuseppe Di Vittorio.
BASTA GHETTI- E proprio la Flai Cgil, in questi giorni, è tornata a far sentire la sua voce. Perché se oggi il Ghetto di Rignano accoglie oltre un centinaio di migranti, fra poche settimane nel villaggio ce ne saranno più di mille. Di conseguenza, Daniele Calamita, segretario generale della Flai Cgil di Capitanata, lancia un messaggio preciso: «Basta Ghetti». E punta il dito contro la «classe dirigente di questo territorio» che per troppi anni ha sottaciuto un problema reale, preferendo, seppur stentatamente, la logica della carità a quella della programmazione. «Come può definirsi un’emergenza – chiede Calamita – una situazione nota da un decennio, che anzi si è incancrenita nel tempo?». Per questo, «servono soluzioni alternative. Una è quella di dare una risposta di legalità utilizzando a fini sociali i beni confiscati alle mafie, mettendoli a disposizione di chi oggi sottostà allo sfruttamento dei caporali. Oppure, si potrebbero favorire progetti di autocostruzione in campi attrezzati».
IO C STO- Intanto, si è messa in moto la macchina organizzativa di “Io C Sto”, il campo di lavoro per giovani provenienti da tutta Italia organizzato dai Missionari Scalabriniani di Siponto. «Anche quest’anno i volontari saranno impegnati al Ghetto di Rignano dal 28 luglio all’8 settembre in diverse attività di animazione – dice Concetta Notarangelo, della rete “Io C Sto” – . I ragazzi svolgeranno lezioni di scuola con i minori che vivono al campo, di alfabetizzazione con i migranti adulti, di orientamento legale per l’affermazione dei diritti. Ed è prevista, anche questa estate, l’attivazione di Radio Ghetto Libero, che offre uno spazio di comunicazione autogestito per i migranti che vivono nel villaggio che hanno l’opportunità di raccontare le loro storie, di segnalare quello che succede al lavoro, di denunciare le condizioni di schiavitù».

di Emiliano Moccia

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